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DALLA PARTE DEGLI ANIMALI - IL COLORE DEL CIELO di Pier Luca Pierini R.

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Era bello il colore del cielo, stamani. L’aria limpidissima dopo il temporale di questa notte mi aveva permesso di vedere più nitidamente un mondo meraviglioso che mi passava davanti velocemente, come quegli attimi della mia vita, sbirciando tra le fessure di un furgone scassato che mi portava via. Chissà dove.

Vedevo scorrere casolari, automobili, gente a piedi e in bicicletta, bambini, cani, qualche gatto qua e là, e tanti alberi, prati, campagne colorate di erba, di fiori, e poi luci, cartelli, suoni e rumori che non avevo mai sentito. Ogni tanto ci fermavamo e riuscivo così a sentire le chiacchiere serene di due o tre persone che si incontravano e sorridevano salutandosi a voce alta. Qualcuno teneva i figli per mano o in braccio, riprendendoli o rimproverandoli se scalpitavano troppo annoiati.

A tratti riuscivo a cogliere il volo dei colombi e di qualche rondine, o passerotto, non saprei dire, ma sentivo dentro di me quello sbattere d’ali confuso e tagliente che mi riportava di colpo a osservare quel cielo che avevo sopra di me.  Grande, celeste, lontano. Quanto ti amo amico che riesci a volare.
Sentivo una quieta tristezza assalirmi a momenti, e non riuscivo a capire perché. Pensavo a stamani: tutto diverso dal solito, così improvviso, così complicato. E quelle corde, quei calci, perché? Ci avevano ammucchiato tutti, quei tipi rudi e nervosi, bestemmiando e sbraitando, su questo furgone vecchio e stretto, pigiandoci a forza all’interno. E poi chiusi di colpo, nel buio, con un rumore terribile di ferri che sbattono. Eravamo tutti impauriti, ma poi, appena fuori, ero riuscito a scovare tra le tavole quella fessura, più stretta di un filo d’erba, ma così grande da farmi vedere ancora il cielo e il resto del mondo che non avevo mai visto. Com’era bello il mondo. Non volevo pensare a quelle voci intimorite, sussurrate da alcuni di noi che sembrava sapessero qualcosa di più. D’accordo, gli uomini non ci trattano molto bene, certe volte sono un po’ duri con noi, ma in fondo non sono cattivi. Spesso sono distratti, ci considerano estranei o lontani da loro, dalla vita che fanno ogni giorno. Ma figurati se potrebbero farci del male. No, non ci credo. In fondo anche loro hanno una mamma, come noi, che li porta alla luce, li allatta, li cura e li ama. E crescono, e vivono, hanno figli e si vogliono bene. Come noi. E come noi conoscono l’amore e i sentimenti, la sofferenza, il dolore, e la morte, la perdita dei loro cari. Come noi. No, non possono farci del male. Ma poi, cosa gli abbiamo fatto?... No, no, anzi, noi ci affezioniamo tanto a loro… Come quel guardiano burbero e ombroso che ci porta sempre quel solito fieno stantio, che ogni tanto ha un sapore diverso, ma sempre buono. E tutti i giorni. Come potrebbero farci del male se in fondo ci allevano, ci curano, ci nutrono e ci puliscono! In fondo… In fondo.

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LA RELIGIONE STELLARE EGIZIA di Qui Artem Discit

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LA RELIGIONE STELLARE EGIZIA

NELLA RELIGIONE STELLARE DEGLI EGIZIANI
GEOCENTRISMO E ANTROPOCENTRISMO

di Qui Artem Discit

Che il rapporto tra gli egiziani e la volta celeste abbia avuto, come per altri popoli, carattere mitico-sacrale è noto, oltre che ovvio; scopo del presente contributo, quindi, non è quello di offrire al lettore una ulteriore prova di ciò, quanto, piuttosto, quello di proporre alcuni esempi che vadano oltre quelli forse più noti di Orione e Sothis, tentando di recuperare una chiave di lettura che possa ancor oggi essere utilizzata iniziaticamente. Anticipando la conclusione, possiamo dire che in realtà la terra dei Faraoni non conobbe l’astrologia che molto tardi rispetto a ciò che, invece, potremmo chiamare Astro-Mito-Loghia, cioè un discorso mitico espresso attraverso l’osservazione degli astri, teso alla divinazione1 dell’intero Egitto2; si riscoprirà in tal senso una visione che, piuttosto che presupporre una quiddità specifica nelle stelle, inserisce queste ultime in una prospettiva geocentrica in cui acquistano l’importante funzione di grande “orologio” cosmico e liturgico.
Senza dilungarmi ulteriormente in queste considerazioni generali, vorrei immediatamente proporre l’analisi di un rito estremamente interessante ai nostri fini e la cui antichità ci è attestata da iscrizioni risalenti alla IV dinastia. Faccio riferimento a quel complesso di cerimonie che si svolgevano in occasione della fondazione di un nuovo tempio e probabilmente delle stesse piramidi. Il rito durava alcuni giorni e prevedeva ben dieci fasi di lavoro rituale ad ognuna delle quali, almeno teoricamente, doveva partecipare il faraone, unica autorità in grado di stabilire efficacemente e legittimamente, in quanto divinità incarnata, quel collegamento tra cielo e terra necessario affinché il rituale potesse avere buon esito. La cerimonia, dunque, si apriva con la partenza del faraone e del suo seguito verso il luogo in cui sarebbe dovuto sorgere il nuovo edificio. Lì, un sacerdote, vestito con la maschera della divinità a cui il Tempio sarebbe stato dedicato, accoglieva il suo sovrano dando così avvio alle pratiche liturgiche. Il momento più importante della cerimonia era la fase del “pedj shes” cioè del tiro della corda. Si trattava del momento più delicato del rituale di fondazione dell’edificio e consisteva di due parti distinte svolte durante la notte ed il giorno seguente. Nella notte stessa dell’inizio della cerimonia, il faraone tendeva una corda insieme ad una sacerdotessa incarnante per l’occasione la dea Seshat e attraverso uno strumento chiamato “merkhat”, utilizzato come mira, fissava l’asse nord-sud prendendo come punto di riferimento l’Orsa Maggiore. Si legge in una iscrizione del tempio di Edfu: Io tengo il piolo. Afferro il manico del bastone e prendo la misura con Seshat. Io rivolgo i miei occhi ai movimenti delle stelle. Io volgo il mio sguardo verso l’Orsa Maggiore. Io fisso i quattro angoli del tuo Tempio3.

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NOTE E APPUNTI DI UN VIAGGIATORE DELL’ANIMA di Cristian Guzzo

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Quando fate emergere ciò che è
in voi, quello che avete vi salverà.
Ciò che non avete in voi vi ucciderà,
se non sapete di averlo dentro.
(Tommaso, 70)

La retorica ed il manierismo di numerosi scritti d’ermetismo anche moderni, hanno sovente annichilito l’attitudine immaginativa dell’iniziato; quella dote ricettiva che consente di sviluppare le capacità d’intuizione e di introspezione: quella vocazione squisitamente attorea di retro-guardare ai rivoli del proprio essere, base strategica per il lungo viaggio alla cerca degli arcipelaghi dell’anima.
Abbiamo avuto modo di incontrare, nel corso degli anni, taluni personaggi che, addentrati ormai da tempo nelle pratiche esoteriche ed interrogati sui risultati delle loro investigazioni sottili, ci hanno, quasi sempre, consegnato risposte laconiche, vagamente misteriosofiche, prive di individualità, talora razziate dagli scritti dei Maestri del passato, dando cosi l’impressione di declamare, maldestramente, i versi sbiaditi di un poeta da retrobottega.
La difficoltà di costruire platonicamente un ponte fra l’uomo e le Idee immortali, l’impossibilità, da parte dei più, di assorbire il loro riflesso nella dimensione spazio-temporale e di rielaborarle, per trasformarle in nutrimento della Psiche, hanno contribuito a plasmare cloni mal riusciti del Kremmerz, che conducono una esistenza spersonalizzata e spersonalizzante, nei panni altrui e mai nei propri. Se la Magia insegna che l’uomo ha la possibilità di evolvere e di realizzare quella comunione ritmica col Nούς che, disegna il fine ultimo della Grande Opera alchimica, perché escludere che il pensiero esoterico possa dunque trasmutarsi, contestualmente a coloro che ne seguono e ne praticano gli insegnamenti? Perché negare che la palestra metafisica possa arricchirsi di nuovi strumenti cognitivi, indispensabili a migliorare le “prestazioni” dello spirito?

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UN IMPORTANTE CONVEGNO CON STEFANO MAYORCA

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Oltre le sabbie del tempo

Culti misterici e iniziazione nell’antichità
Origini, simboli, miti

 

Auditorium della Fondazione
Sabato 2 Febbraio 2013, ore 17.30

 

via S. Eufemia, 12 29121 Piacenza

Tel. 0523.311111

Fax 0523.311190

 

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DIALOGO CON LA LUNA: LA VIA DEL GUERRIERO SPIRITUALE di Stefano Mayorca

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Come sospinto da una mano invisibile, un ultimo raggio di Sole si insinua nel mio studio. Il cielo al tramonto rosseggia tingendosi d’arancio. Quel raggio, superstite di una luce che svanisce al crepuscolo, simile ad un dardo infuocato si muove guizzando, quasi fosse guidato da un’intelligenza misteriosa, anzi, quasi fosse lui stesso dotato di intelletto. Rischiara i libri e le carte che giacciono inerti sulla mia scrivania, crea giochi di luce e rifulge come una piccola stella che brilla nella penombra. Silenzioso descrive strane geometrie poi, così come era apparso si estingue, mentre fuori tutto è inondato d’azzurro e una sottile falce di Luna si affaccia nel firmamento. L’aroma dell’incenso permea ogni angolo della stanza e i residui di fumo, ballerini di una danza segreta, si contorcono al suono di una melodia arcana descrivendo forme impossibili. La mia mente, sgombra da ogni pensiero, fluttua nel nulla e l’energia sprigionata dal rito satura l’ambiente, permea ogni centimetro del mio essere. Ora non appartengo a me stesso, sono fuso con ogni espressione di vita, sono parte del Tutto, staccato dalle miserie della natura inferiore e immerso in una dimensione più alta. Affrancato dalla materia, dalle banalità quotidiane, percepisco realtà elevate, barlumi sfuggenti di regni di Luce… Vorrei che questo stato di grazia non avesse mai fine, che si fissasse in un istante infinito. Ma, poco a poco, i “sensi comuni” si risvegliano e la parte materiale reclama il suo dominio, l’archetipo femmineo, nella sua accezione più terrena si desta di nuovo e il “miracolo” della “luccicanza” - il mistero di cose invisibili - si affievolisce riportandomi nello stato di coscienza normale. Adesso mi sento solo, una profonda ed abissale solitudine, un vuoto che mi fa percepire la mia estraneità dalle orde profane, dalla ragione volgare. E’ notte, la luce di Selene invade l’ambiente, riflessa dai vetri promana un tenue chiarore e incanta con riverberi d’argento. Il silenzio è totale, reso meno intenso dal suono dei miei pensieri, dal mio dialogo interiore con la Luna, la pallida Signora amante di sempre… Contemplo il volto di chi amo, tenera visione nell’oscurità, mentre dorme e sogna, sospesa tra luce e ombra, tra Terra e Cielo, e mi sento impotente poiché vorrei trascendere tutte le leggi dell’Universo e regalarle l’eternità, perché vorrei donarle una parte della mia forza, quella forza che mi ha sostenuto nei momenti terribili del mio vissuto. Quel potere volitivo che mi spinge ad andare avanti, che mi esorta a cercare, a non farmi fagocitare da una realtà che spesso non rispecchia le mie intime aspirazioni e dai problemi, che mi dice di spingermi oltre i confini delle mie possibilità. Vorrei renderla partecipe delle mie debolezze e della mia fragilità, perché anche un iniziato è fragile. Sì. Anche un iniziato è preda delle paure, dell’ignoto che incombe, del mondo impazzito e mediocre. E ha bisogno d’affetto, di un amore senza limiti, esente da qualunque effimera caducità. L’angoscia gradualmente si dirada e la forza torna a sorreggermi. Penso agli amici di Elixir, e un sentimento d’unione si fa strada nel mio cuore e mi lega a questi fratelli di un cammino già noto. Percorro la Via del Guerriero Spirituale che non è un superuomo, ma un uomo con un punto di vista diverso rispetto alla consuetudine di chi non è un risvegliato, e che persegue un ideale luminoso, che lotta contro il buio che è celato in lui, espressione del lato oscuro della Luce. Egli si sacrifica per affermare le sue idee, per difendere ciò che è Sacro e puro dalle contaminazioni di forze profane e ottenebranti.

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