Quando fate emergere ciò che è
in voi, quello che avete vi salverà.
Ciò che non avete in voi vi ucciderà,
se non sapete di averlo dentro.
(Tommaso, 70)
La retorica ed il manierismo di numerosi scritti d’ermetismo anche moderni, hanno sovente annichilito l’attitudine immaginativa dell’iniziato; quella dote ricettiva che consente di sviluppare le capacità d’intuizione e di introspezione: quella vocazione squisitamente attorea di retro-guardare ai rivoli del proprio essere, base strategica per il lungo viaggio alla cerca degli arcipelaghi dell’anima.
Abbiamo avuto modo di incontrare, nel corso degli anni, taluni personaggi che, addentrati ormai da tempo nelle pratiche esoteriche ed interrogati sui risultati delle loro investigazioni sottili, ci hanno, quasi sempre, consegnato risposte laconiche, vagamente misteriosofiche, prive di individualità, talora razziate dagli scritti dei Maestri del passato, dando cosi l’impressione di declamare, maldestramente, i versi sbiaditi di un poeta da retrobottega.
La difficoltà di costruire platonicamente un ponte fra l’uomo e le Idee immortali, l’impossibilità, da parte dei più, di assorbire il loro riflesso nella dimensione spazio-temporale e di rielaborarle, per trasformarle in nutrimento della Psiche, hanno contribuito a plasmare cloni mal riusciti del Kremmerz, che conducono una esistenza spersonalizzata e spersonalizzante, nei panni altrui e mai nei propri. Se la Magia insegna che l’uomo ha la possibilità di evolvere e di realizzare quella comunione ritmica col Nούς che, disegna il fine ultimo della Grande Opera alchimica, perché escludere che il pensiero esoterico possa dunque trasmutarsi, contestualmente a coloro che ne seguono e ne praticano gli insegnamenti? Perché negare che la palestra metafisica possa arricchirsi di nuovi strumenti cognitivi, indispensabili a migliorare le “prestazioni” dello spirito?
E’ necessario sottolineare come, ogni scritto del Kremmerz, appaia privo di assolutismo dottrinario e di qualunque staticità interpretativa nei confronti della Occulta Filosofia.
Nello sfogliare le pagine della sua Opera Omnia, il lettore ha costantemente l’impressione che egli si sforzi di comunicare verità assorbite e percepite alla luce delle proprie personali realizzazioni, consegnandoci dunque una filosofia antidogmatica che assume, quale imprescindibile paradigma, il γνόσε σεαυτόν degli antichi greci. E’ dalla conoscenza e consapevolezza di se stessi, dunque dalla riscoperta della monade sacra che anima il nostro essere, vero e proprio simulacro di Dio, che l’ermetista dovrà partire per rinnovare le proprie percezioni e risolvere ciò che, il Mago di Portici efficacemente definì, l’enimma sfingetico; il mistero dell’uomo, da sempre in bilico fra caducità ed eternità.
E’ dalla notte dei tempi che i discendenti di Adamo vivono un angoscioso dilemma, scaturente dalla mancata accettazione di essere meri involucri pensanti dotati, come ogni altro animale, di un Alfa necessitante e di un’Omega ineluttabile. L’anelito all’Uno, la possibilità di abbandonare la visione prosaica e volgare dell’esistenza per abbracciarne una ieratica che orienti definitivamente il nostro percorso terreno, disegnerebbero forma e sostanza dello Spiritualismo magico.
Espungendo per sempre dal proprio essere quel senso di solitudine cosmica e di anedonico epicureismo che attanaglia la coscienza collettiva contemporanea, l’iniziato imparerà a verticalizzare i propri pensieri e a risvegliare i cinque sensi, affrancandoli definitivamente dal ruolo di semplici recettori della realtà empirica. Il primo, vero rinnovamento interiore comincerà, dunque, solo quando l’aspirante alla Luce prenderà coscienza del fatto che, i sensi medesimi hanno il precipuo compito di destare la consapevolezza dell’immanenza di Dio nel quotidiano; un’immanenza testimoniata dallo splendore del Sole al mattino, dallo scintillio degli astri nella notte, dal respiro del vento che, in primavera, trascina e rinnova la vita, attraverso la migrazione del seme da una terra ad un’altra. L’armonia della natura, il fiorire e rifiorire delle stagioni, ritraggono il linguaggio della Creazione primordiale, testimoniando in maniera inequivocabile l’epifania del Sacro nell’Universo ed il rinnovo di una sorta di sublime trattato fra il Padre e le proprie creature.
Nell’apocrifo Vangelo di Tommaso1 si legge che, in principio, l’Uno era indifferenziato, astratto ed inafferrabile. La Creazione rappresentò dunque l’atto di supremo colore attraverso il quale Dio rinunciò ad una parte della propria vaghezza, perché l’uomo potesse ammirare nella Creazione medesima, il Fuoco e la Volontà Sua di fissarsi e autolimitarsi attraverso le forme.
Ecco che dunque l’essere umano venne dotato dell’olfatto, atto a percepire l’aria e gli odori, ovvero la volatilità del Principio celeste; la vista consegnò il senso delle sfumature, la percezione della bellezza, il dono della Luce contrapposto all’oscurità, il senso dell’ombra che, come scrisse il Kremmerz, donò rilievo alle cose visibili, la capacità di vivere la creazione in atto, mirabilmente sintetizzata dal simbolo di un fiore che si schiude. Provate ad osservare un bocciolo che, in primavera, apre i suoi petali al mondo e fate si che, il vostro occhio, non sazi il proprio appetito solo attraverso i toni suoi iridescenti ma, “veda” l’energia vitale che lo ha generato, rinnovando il patto dell’ordinario, soggiacente all’avvento dello Straordinario.
Le pratiche di magia cerimoniale sempre più avanzate, necessarie alla rieducazione dell’anima, saranno dunque il primo, indispensabile strumento atto a modellare la nuova coscienza del praticante che, metodicamente, abbandonerà le sovrastrutture edificate sul proprio spirito, assorbendo dolcemente le virtù e l’anti-relativismo dei Geni e degli Eoni, con i quali si troverà ad interagire.
Tale processo instillerà in lui la percezione delle Idee divine, dalle più elementari alle più complesse, frammenti dell’Archetipo Primigenio, che si rivelerà attraverso lampi di luce intellettuale, risposte ad enigmi ed interrogativi, insiti nel profondo dell’essere.
Nello sperimentare l’Opera al Nero accadrà, talora, di essere sopraffatti da un senso di disagio, di incompletezza, di futilità e disadattamento, scaturente dal drammatico tentativo di allineare il proprio essere alla sfera sovrasensibile ed alle sue meccaniche occulte. Tale passaggio sarà non privo di rischi poiché, la cerca ardente della Verità, se non edulcorata dall’Aqua Solis della Ragione, potrebbe degenerare in ossessione, impedendo per sempre alla nostra anima, di separarsi dal mondo degli effetti al quale appartengono le emotività, i deliri, gli inganni e le follie.
Mentre il Sole si sforza di differenziare ogni cosa, potremmo dunque avvertire il peso, talora insostenibile, della Luna che ci ingloba nell’unione e nella mescolanza, opponendosi alla nostra esigenza di Separazione.
L’abilità dell’ermetista starà dunque nella capacità di dominare questo senso di negritudine dello spirito fisiologica al cambiamento, confidando nel proprio Ermete ed imparando a riconoscerne la voce, per non confonderla con altre che, come scrive Arturo Reghini, non sempre hanno la saggezza e l’intelligenza dell’Ermete.2 Il fine che dunque l’iniziato persegue è la Conoscenza, il mezzo per conseguirla è la Magia, il talismano vitalizzante della via, è la ragione che, conduce al ne sentire quidem auspicato da Cicerone.
L’ascenso potrà dirsi, dunque, effettivamente intrapreso solo quando il praticante, per aver costantemente contemplato la Luce dei Numi sarà divenuto cieco a tutte le altre o, come forse avrebbe scritto Giustiniano Lebano, sordo al canto delle Sirene.
Eloquenti sono, a tal proposito, due brevi incisi tratti dagli Eroici Furori di Giordano Bruno: Essendo che coloro che han fatte l’orecchie a gran strepiti e rumori, non odeno gli strepiti minori[…] ed ancora: Cossì tutti color ch’ hanno avvezzo il corpo, l’animo a cose più difficili e grandi, non sogliono sentir fastidio delle difficultadi minori. (Dialogo Quarto).
Per fissare definitivamente i risultati delle proprie investigazioni, rendendoli permanenti, l’iniziato dovrà stoicamente accettare i limiti scaturenti dal vivere in una dimensione spazio-temporale, che impedisce la percezione della Causa Prima, in tutta la propria interezza.
Il senso del Tutto, dell’Assoluto, potrà infatti essere conseguito solo quando, l’ ineluttabilità delle incarnazioni, sarà stata superata e l’anima non necessiterà più di un involucro composto di carne, sangue muscoli ed emozioni, per dinamizzare l’indagine delle proprie radici divine.
Giunti a questo punto, verrebbe da domandarsi se, in realtà, la Magia non sia uno strumento di ascenso, tutto sommato incompleto ed imperfetto.
La risposta a tale domanda è senz’altro negativa, in quanto non è la via ad essere manchevole ma è il veicolo corporeo, a patire un’ innata imperfezione, tale da limitare inesorabilmente lo slancio all’Uno.
Per meglio chiarire tale relativismo, potremmo immaginare Dio assimilato ad un grattacielo ed il nostro essere uomini, come una scatola di scarpe. E’ evidente che, pretesa assurda sarebbe quella di introdurre un grattacielo, fatto di milioni di metri cubi di cemento ed acciaio, nel suddetto contenitore. Possibile, invece, sarebbe staccare da esso alcuni mattoni da introdurre, con successo, nella nostra scatola.
Ci accaparreremmo, in tal modo, una minima porzione del grattacielo che ci consegnerebbe la coscienza del Tutto, confermandoci l’esistenza di una Realtà di milioni di mattoni dei quali, ciò che abbiamo raccolto, è parte integrante e necessaria. Più, dunque, proseguiremo nella nostra evoluzione, più la nostra scatola ideale, la nostra anima custodita dal tabernacolo saturniano, si arricchirà di viti, bulloni, frammenti di legno, provenienti dall’ immobile fino a quando, essa sarà talmente colma, da non essere più in grado di contenere neanche un minuscolo ago. A quel punto la nostra cerca iniziatica potrà dirsi completata, poiché avremo raggiunto la misura che, all’essere umano, è stata concessa di relativizzare e storicizzare l’Energia Prima indeterminata.
(Tratto da Elixir n° 3 con il permesso delle Edizioni Rebis)