Era bello il colore del cielo, stamani. L’aria limpidissima dopo il temporale di questa notte mi aveva permesso di vedere più nitidamente un mondo meraviglioso che mi passava davanti velocemente, come quegli attimi della mia vita, sbirciando tra le fessure di un furgone scassato che mi portava via. Chissà dove.
Vedevo scorrere casolari, automobili, gente a piedi e in bicicletta, bambini, cani, qualche gatto qua e là, e tanti alberi, prati, campagne colorate di erba, di fiori, e poi luci, cartelli, suoni e rumori che non avevo mai sentito. Ogni tanto ci fermavamo e riuscivo così a sentire le chiacchiere serene di due o tre persone che si incontravano e sorridevano salutandosi a voce alta. Qualcuno teneva i figli per mano o in braccio, riprendendoli o rimproverandoli se scalpitavano troppo annoiati.
A tratti riuscivo a cogliere il volo dei colombi e di qualche rondine, o passerotto, non saprei dire, ma sentivo dentro di me quello sbattere d’ali confuso e tagliente che mi riportava di colpo a osservare quel cielo che avevo sopra di me. Grande, celeste, lontano. Quanto ti amo amico che riesci a volare.
Sentivo una quieta tristezza assalirmi a momenti, e non riuscivo a capire perché. Pensavo a stamani: tutto diverso dal solito, così improvviso, così complicato. E quelle corde, quei calci, perché? Ci avevano ammucchiato tutti, quei tipi rudi e nervosi, bestemmiando e sbraitando, su questo furgone vecchio e stretto, pigiandoci a forza all’interno. E poi chiusi di colpo, nel buio, con un rumore terribile di ferri che sbattono. Eravamo tutti impauriti, ma poi, appena fuori, ero riuscito a scovare tra le tavole quella fessura, più stretta di un filo d’erba, ma così grande da farmi vedere ancora il cielo e il resto del mondo che non avevo mai visto. Com’era bello il mondo. Non volevo pensare a quelle voci intimorite, sussurrate da alcuni di noi che sembrava sapessero qualcosa di più. D’accordo, gli uomini non ci trattano molto bene, certe volte sono un po’ duri con noi, ma in fondo non sono cattivi. Spesso sono distratti, ci considerano estranei o lontani da loro, dalla vita che fanno ogni giorno. Ma figurati se potrebbero farci del male. No, non ci credo. In fondo anche loro hanno una mamma, come noi, che li porta alla luce, li allatta, li cura e li ama. E crescono, e vivono, hanno figli e si vogliono bene. Come noi. E come noi conoscono l’amore e i sentimenti, la sofferenza, il dolore, e la morte, la perdita dei loro cari. Come noi. No, non possono farci del male. Ma poi, cosa gli abbiamo fatto?... No, no, anzi, noi ci affezioniamo tanto a loro… Come quel guardiano burbero e ombroso che ci porta sempre quel solito fieno stantio, che ogni tanto ha un sapore diverso, ma sempre buono. E tutti i giorni. Come potrebbero farci del male se in fondo ci allevano, ci curano, ci nutrono e ci puliscono! In fondo… In fondo.
Però, quella tristezza che in certi momenti mi prende il cuore, come un’angoscia inspiegabile…Ma perché?
(Tratto dalla rivista Elixir con il permesso delle Edizioni Rebis)