Amrar: Il Sentiero di Luce - Della Purificazione - Un’interpretazione ermetica di uno degli aspetti più complessi e controversi del percorso iniziatico.
Cerchiamo a questo punto di affrontare insieme, semplicemente e senza far ricorso a concetti astrusi o astratti, un punto basilare della nostra strada, quella lunga strada che la nostra anima antica, sovente stanca ma sempre ben salda e fiduciosa, deve percorrere con serenità e sicurezza. La Purificazione.
A volte il suono stesso della parola può provocare turbamento o inquietudine, quasi come se il nostro essere, per sua natura particolare, reagisse punto sul vivo da questo termine che può significare tanto, ma non deve mai significare troppo. Come già detto, siamo portati naturalmente a pensare di avere periodicamente necessità di ricorrere a pratiche e mezzi purificatori, più o meno intensi e risolutivi, in grado di liberarci e “decontaminarci” da residui inquinanti e concrezioni occulte o profane di varia natura che appesantiscono o paralizzano, e a lungo andare atrofizzano le ali della nostra essenza luminosa. Le anime più sensibili e coloro che per caratteristiche innate possono disporre di estese capacità recettive, e/o tendono ad una vita interiore basata o articolata su valori profondi che inevitabilmente conducono ad ampliare una seria problematica esistenziale, come chi guarda in se stesso e al mondo circostante secondo un’ottica meno superficiale dell’ordinaria pupilla, sentono una seria esigenza di elevazione e riscatto in senso spirituale dalla grigia e greve materialità di cui appare permeato il nostro quotidiano. In certi casi si tende a coltivare una vaga speranza di cambiamento, che a volte rimane confinata entro i limiti di tentativi generici quanto infruttuosi; altre volte, quando l’obiettivo è più chiaro e definito, si tende più semplicemente alla ricerca di vie alternative alla normale e ripetitiva routine della vita come ci viene imposta, contando sull’utile speranza di trovare un terreno fertile che possa appagare anche le esigenze dello spirito.
In taluni soggetti questa spinta può esasperarsi fino al punto di porre la questione della purificazione innanzi a tutto, perdendo non di rado il senso delle proporzioni: ci si può sentire “sporchi” o “impuri” fino a drammatizzare lo spessore reale del problema – ammesso che di reale problema si tratti – perché incapaci di resistere alle tentazioni, o agli umani impulsi dell’eros, della gola, del denaro, del possesso, delle più comuni passioni, o perché “influenzati” o “lordati” dall’ambiente in cui si vive e lavora, dalla quantità stressante di informazioni e messaggi di sostanziale inutilità cui siamo sottoposti sistematicamente e/o dalle persone che si frequentano. Il nostro animo, rivolto alla ricerca della perfezione, sente in parte spontaneamente il bisogno di liberarsi di quelle zavorre pesanti e di quei vincoli involutivi che trattengono lo spirito entro i margini stretti di cieli plumbei e incatenanti. Ed è per così dire “abituato”, da elementi condizionanti indotti, di natura religiosa[1] o sociale, a sentirsi sovente “in colpa”, o “non a posto con la propria coscienza”, fino ad autogenerare periodicamente vere e proprie crisi interiori, insidiose battaglie fra lo spirito e la materia, aspri conflitti di coscienza e contraddizioni irrisolvibili tra ciò che vorremmo essere e ciò che si è. Tutto questo non può produrre alcunché di positivo, se non si affronta il problema in termini ermetici realistici e costruttivi. Vediamo quindi di analizzare la questione in modo concreto, per poterne proporre una soluzione comprensibile, utile e attuabile.
Che cosa deve intendersi per “purificazione”?
In termini ideali, corrisponde all’abnegazione e al sacrificio parziale o totale dell’Io, nel superamento delle barriere dell’egoismo e delle passioni che prevaricano lo spirito, impedendone la crescita e l’evoluzione, per il conseguimento del fine o della meta che costituisce la Fonte Vitale del nostro spirito stesso. In altre parole, la purificazione in questo senso deve intendersi come un processo graduale, svolto parallelamente alla pratica ermetica, rivolto ad allontanare od eliminare progressivamente quegli elementi egoistici o “estranei”, cristallizzati o devianti, abbondantemente stratificati nella nostra coscienza e nella nostra “memoria” sottile, che ci fanno rimanere intimamente e il più delle volte inconsapevolmente attanagliati a informazioni ed esperienze sterili o dannose, alle nostre convinzioni/convenzioni, alle nostre giustificazioni, ai nostri compromessi; che ci fanno confondere i mezzi con i fini e non ci permettono di porre obiettivi ideali al disopra delle nostre realizzazioni quotidiane, profane od ermetiche che siano. Sì, non a caso anche ermetiche, perché un “iniziato” che persegue lo scopo della propria ascesa spirituale al solo fine di elevare se stesso su un piedistallo di cartone che lo ponga in una condizione di potere, “dominante” nei confronti del resto del mondo, o cerchi di mascherare questo processo con l’abito usato e abusato del “sacro egoismo” o dell’”alta spiritualità”, in realtà rimane avvolto in una nebbia di ottusa mediocrità, se non di volgare meschinità. Non bisogna dimenticare inoltre che anche coloro che percorrono la via iniziatica non sfuggono di norma a certe trappole della mente, sempre in agguato e sempre più insidiose, nella misura in cui si tenta di progredire, passando da un livello ad un altro di coscienza e di realizzazione. Per non infrangersi in questi scogli, più difficili da evitare di quanto ci si illuda, l’ermetista Kremmerz indicò, tra l’altro, quale unico obiettivo della Fratellanza di Miriam[2] la finalità terapeutica, in modo che gli ascritti potessero convogliare nell’aspirazione reale alla cura degli ammalati e dei sofferenti, l’impulso imperioso di sete di conoscenza e l’energia occulta sviluppata dalla pratica, senza perdere la purezza dell’ideale nel turbinio avviluppante delle umane vanaglorie e dei canti ammaliatori delle tante sirene di turno, gradi e chimere osiridei compresi. Purtroppo non di rado accadde, e il Kremmerz stesso ebbe a dolersene constatando l’amara realtà, che tale fine venisse poi in effetti largamente interpretato come una sorta di passaggio obbligato, una conditio sine qua non, accettata di buon grado per poter successivamente accedere appunto ai “gradini” superiori, subendo più che sposando la pur nobilissima causa terapeutica. Ora, se il problema si presentò in termini concreti persino al maestro di Portici, sarebbe interessante riflettere criticamente sul destino che dovrebbe affrontare una scuola di magia che stabilisse fin dal principio e in termini netti e inequivocabili un programma teorico-pratico basato unicamente ed esclusivamente sulla cura ermetica dei malati, senza possibilità di alcun adattamento alternativo od ulteriori realizzazioni. Molto verosimilmente, ben pochi interessati si riunirebbero in sodalizio animico per sacrificare il proprio tempo, le proprie ambizioni “magiche” e lo sviluppo degli ambìti “poteri occulti” sull’altare di un generoso e disinteressato progetto “pro salute populi”. E questo compromesso è spesso fatalmente sfociato in malintesi, errori e delusioni. Ma ciò è ampiamente comprensibile, in quanto umano. Non dimentichiamo mai, e sottolineo mai, che pur se il nostro libro interiore ci racconta di re e di eroi, di fate, di maghi, di dèi e cavalieri e di imperi perduti, siamo solo uomini, uomini che cercano innanzitutto di diventare realmente tali, per poi migliorare, perfezionarsi e percorrere con buona volontà un tratto breve o importante del Sentiero della Luce. Quindi, inutile nascondersi dietro i fili d’erba. I ricercatori dello spirito, coloro che lavorano e si dedicano con costanza e tenacia allo studio della magia, possono penare, sudare, annaspare, sbagliare, ricredersi e ritentare fino a poter bussare, magari anche umilmente e timidamente, alla porta del tempio, ma vogliono ardentemente raggiungere un solo obiettivo: l’iniziazione. Possono nutrire idee confuse e vaghe sui metodi e sull’oggetto della ricerca, ma sanno, intimamente ne sono certi, che “qualcosa” c’è o ci dev’essere… E non pensano minimamente, di solito, di dover ridurre o limitare lo scopo delle loro fatiche alla cura di qualche occasionale ammalato; al limite, la terapeutica può essere considerata una delle tante possibili applicazioni, quasi la conferma delle proprie “capacità” sviluppate o acquisite, un mezzo utile per sé e all’occorrenza per altri, ma non certamente l’unico fine. Poi… con il tempo si cresce. E se si è lavorato correttamente di buona lena e, diciamolo pure, se si è altresì fortunati e assistiti da un lumicino interiore, è spesso possibile e sempre augurabile riconsiderare la questione in termini oggettivi e rivalutarne l’estremo valore, al di là di implicazioni di carattere etico maturate con la saggezza degli anni. Vedremo pertanto più avanti quali saranno gli obiettivi da porre innanzi a sé e oltre se stessi, per sviluppare un processo integrativo e purificatorio corretto e produttivo di reale progresso. E vedremo di conciliare in quegli “aspiranti ermetisti”, ai quali viene chiesta soltanto la perseveranza nella lealtà e nella buona volontà che li hanno condotti a questo punto del tragitto, l’antica e ponderosa spinta che alimenta il fuoco interiore (quel Fuoco che è “fonte” di luce e di sete di conoscenza) e la necessità (da non intendersi in questo caso nel senso più ordinario e riduttivo del termine) di un fine ideale che trascenda i confini della bassa materia e sublimi la sana ambizione e il titanico impulso di una volontà realizzante.
Ma adesso torniamo al nostro argomento, che a momenti ci affligge o tormenta e forse preoccupa, e che tuttavia deve essere comunque affrontato col sorriso sulle labbra. Dicevamo della purificazione. Veniamo a noi e sviluppiamo il tema sul piano magico e specificatamente sul piano operativo.
Occorre scindere, anche in questo caso, quelle che sono le nostre convinzioni abituali e generalmente accettate sul concetto di purificazione, da ciò che poi deve intendersi per tale in magia. La pratica magica, per progredire proficuamente, deve necessariamente seguire un’adeguata e mirata pratica purificatoria, e non viceversa. Questo non significa che senza le debite purificazioni non si possano ottenere realizzazioni apprezzabili, ma è bene ricordare che pur se con tecniche esatte e costanti applicazioni operative è possibile ottenere determinati fenomeni o interessanti risposte sul piano reale, questi non risulteranno altro che una più o meno utile ginnastica di riscaldamento (propedeutica nel migliore dei casi, illusoria e fallace nel peggiore), priva di concreti e fecondi contributi allo sviluppo integrale dell’essere, e dagli effetti comunque instabili, fragili e transitori. In parole povere, è possibile che un dilettante riesca pure a costruire un edificio apparentemente perfetto, senza il supporto di alcuna preparazione tecnica o di calcoli precisi, ma questo sarà sempre soggetto a tutti quei limiti e rischi che la mancanza di solide basi e cognizioni specifiche inevitabilmente comporta, rendendo di conseguenza insicura e vulnerabile l’intera struttura. Ad un’attenta analisi, non sarà difficile constatare la precarietà di tali esiti e la sostanziale inutilità di un simile approccio alla pratica magica.
Ora, se vogliamo renderci realmente attivi sul piano creativo magico, e sviluppare e utilizzare positivamente il nostro hermes, che attende soltanto di rendersi efficacemente loquace, è indispensabile seguire un metodo corretto e tradizionale, affidandosi con la fiducia (non “fede”!) confermata dall’esperienza, agli insegnamenti dei maestri, purché realmente tali. Pertanto, la necessità della “purificazione”, intesa, almeno ad un primo livello, come eliminazione – per quanto più possibile – di quelle parti irrisolte o parassitiche, di quelle incrostazioni animiche e difetti evidenti che impediscono alla nostra mente di avere una visione chiara della meta, al nostro spirito di far sentire la sua parola e alla nostra anima di agire liberamente. Purificazione quindi da legami psichici e sottili con elementi che possono turbare, alterare o deviare il nostro intendimento, la nostra armonia e la nostra volontà, che deve librare affrancata da costrizioni e dipendenze; non certo esprimersi con timidi balbettii, vincolata o sottomessa a parametri indotti, riflessi condizionati o schemi programmati. E purificazione sul piano fisico, con metodo e interventi propedeutici graduali, periodici e spontanei – mai forzati – finalizzati ad un ordine interiore frutto di scelta consapevole e profonda. Il che si traduce, oltre che con lo studio e la pratica assidui, in esercizi seri di autodisciplina e di autocontrollo, nell’allenamento (ed educazione) della volontà (da non confondere con il desiderio), nella scelta autonoma e cosciente, nella padronanza degli impulsi incontrollati e nel dominio delle spinte involutive o disgreganti, nelle rinunce mirate, nei digiuni, nelle abluzioni ecc. Si renderà dunque utile a questo proposito un approfondimento dei metodi più validi, e al tempo stesso più consoni alla propria condizione, suggeriti dai maestri. I riferimenti non mancano, e tutti, specie se cucinati e insaporiti col classico “granum salis”, possono contribuire a far lievitare le torte dei primi obiettivi, i più faticosi forse ma i più utili indubbiamente per conseguire successivamente risultati di maggior impegno e rilievo ai fini del personale ascenso. Per rimanere in ambito kremmerziano, possiamo suggerire ad esempio le informazioni fornite dal maestro nei suoi scritti ormai ben conosciuti, nonché le prescrizioni dispensate nei testi interni, ormai ampiamente pubblicati e disponibili liberamente anch’essi[3]. Occorrerebbe un libro a sé, più che la presente riflessione, per riassumerle tutte; ma crediamo che un’ottima traccia, forse la migliore, sulla quale iniziare una proficua ricerca e un efficace lavoro (che in seguito potranno essere estesi a tecniche più complesse e riservate), siano da ritenersi le istruzioni al “rito da eseguirsi” (il cosiddetto Rito di Novembre o di Sagittario che si conclude con la seconda parte in marzo) presenti nel “Mondo Secreto” (o nel primo volume dell’Opera Omnia e della Scienza dei Magi)[4]. A queste istruzioni fondamentali di impronta ermetica tradizionale, relative ai tempi, ai luoghi, ai profumi, alle preghiere, alle abluzioni, alla dieta ecc. riteniamo utile abbinare una sana abitudine alla frequente se non quotidiana meditazione (o almeno all’introspezione): un’isola di silenzio e di ispirazione sottratta alle correnti ipnotiche che abitualmente ci confondono la mente, dedicata alla cura e alla ricerca di e in sé e all’analisi dei propri punti critici, dei conti in sospeso col proprio passato, delle tante maschere che ci nascondono alla verità, dei tanti errori commessi o delle sofferenze provocate o subite, e di quant’altro debba essere assolutamente strappato agli artigli di una memoria ingannevole, alle facili o necessarie soffitte dell’oblio o ai giochi di prestigio delle frequenti “rimozioni”, affinché ogni “demone o “fantasma” che si nasconde tra le pieghe e le ferite dell’anima possa essere guardato coraggiosamente in faccia, e altrettanto coraggiosamente affrontato e possibilmente svuotato del pernicioso contenuto attribuitogli, in realtà inesistente, e infine risolto[5]. In modo che tutto questo faticoso processo possa realmente risultare vantaggioso all’opera di pulizia e risanamento del nostro essere, provato e obnubilato dal pesante fardello dell’esistenza.
Tutto questo, non è male ripeterlo, consentirà alla nostra unità psiche-anima di liberarsi dai pesi che ne trattengono o alterano in gran parte le spinte vitali, e ne impediscono la corretta espansione e il progresso.
A questo punto ci si renderà decisamente conto dell’inutilità del tentativo di barare con se stessi. Solitamente conosciamo bene o riusciamo a ben individuare, se vogliamo, quei lati lasciati in ombra da una coscienza disinvolta o troppo indulgente che invece debbono essere risolti con maturità e decisione, o almeno affrontati per accertarne consapevolmente il concreto spessore e il potenziale di rischio. Impegnarsi e puntare ad un costante, anche se lento, miglioramento, è un nostro preciso dovere. Ma non dobbiamo nemmeno intestardirci nevroticamente nella ricerca del pelo nell’uovo, o impantanarci nelle difficoltà dei primi immancabili insuccessi. Mai arenarsi di fronte agli sbagli, mai commiserarsi o abbandonarsi allo sconforto che si prova davanti a quelli che sembrano insormontabili ostacoli, o perdersi d’animo pensando di non riuscire. Le vere e grandi conquiste non sono mai facili, né immediate. Ma è dalla disposizione dei primi mattoni che otterremo un tempio – il nostro tempio interiore – sicuro, solido e armonioso. Non considerare mai quindi i fallimenti, gli errori o gli sforzi andati a vuoto con la violenza autolesionista di colui che deve espiare colpe inesistenti, non credersi un incapace se non sempre si ottiene ciò che si vorrebbe e, subito dopo, non indulgere in eccessive giustificazioni che porterebbero all’errore opposto. Impegnarsi seriamente, e quando si cade rialzarsi prontamente, senza guardare indietro o i propri piedi, ma avanti. In questo modo è possibile arrivare in prossimità del traguardo e con l’aiuto delle ali di Hermes magari superarlo. E in questo modo, piano piano, sarà possibile comprendere e verificare direttamente quali sono gli elementi estranei o nocivi al proprio equilibrio (fisico, psichico e spirituale); si individueranno, controlleranno e domineranno, se questa sarà la volontà del ricercatore, tutte quelle componenti antiche e recenti che come lenti di piombo impediscono la visione dell’oro interiore. Quando le condizioni lo permetteranno, saranno “trasmutate” da negative in positive e costituiranno perle di amore e di luce per la propria vita, per le persone vicine a noi o che a noi si rivolgono per essere aiutate, e renderanno chiara la meta che si ha davanti. E si entrerà in contatto con piani superiori e dimensioni sconosciute che al principio del cammino è possibile soltanto intravedere o intuire, dove l’Intelligenza Maestra si rende realmente eloquente per indicare ai meritevoli la Via.
Amrar
(Tratto da “Elixir” n° 1 – Ed.Rebis – con il permesso della Casa editrice)
[1] Si consideri ad esempio il concetto di “peccato”, che viene per così dire ad incidersi profondamente nell’anima di molti (non tutti, naturalmente) durante l’importante e delicatissimo periodo dell’età infantile e che nonostante “revisioni” critiche e ridimensionamenti posteriori, difficilmente potrà essere cancellato interamente, soprattutto nelle complesse influenze esercitate da sensi di colpa oggettivamente immotivati, con gravi ripercussioni nel processo formativo, nel comportamento, nel carattere e nella libera espressione della personalità. L’ermetista deve cercare attraverso un attento esame allo specchio di intercettare e disinnescare gli eventuali “ordigni” ad orologeria costituiti da tali interpretazioni insidiose (lo “sbaglio” inteso come “peccato”), pur mantenendo un rigoroso senso dei fondamentali e inalienabili valori morali che devono sempre costituire un solido punto di riferimento. Affronteremo meglio questo aspetto, nella parte riguardante la purezza, l’impurità, la castità in magia.
[2] L’autentica o originaria ovviamente, da non confondersi assolutamente con certe successive parodie che ne hanno usurpato il nome, tese unicamente al potere personale e alla prevaricazione nei confronti di poveri sprovveduti, usati come parco buoi per fini tuttaltro che nobili.
[3] Si tratta di tecniche incomplete e frammentarie, beninteso, e probabilmente più adatte ad un ricercatore alle prime armi, tuttavia utili in mancanza di riferimenti validi alternativi.
[4] Il riferimento alle tecniche esposte in questo rito è puramente indicativo e ognuno è ovviamente libero di scegliere o affidarsi a quanto più ritiene opportuno.
[5] Un’altra tecnica, tuttaltro che inedita ma sempre utile e collaudata a questo proposito, consiste nel trascrivere dettagliatamente in ogni minimo particolare quelle parentesi più angosciose, quegli episodi più critici e drammatici e quei ricordi dolorosi o traumatizzanti che hanno caratterizzato in negativo il nostro passato, risalendo lontano nel tempo per quanto più possibile.
di G.M.Capiferro e C.Guzzo
La chiusura ufficiale delle Accademie miriamiche e le vicissitudini che le medesime dovettero patire in Italia a causa dell’antimassonico regime mussoliniano, se da un lato limitarono considerevolmente l’impatto della Fratellanza su un piano eminentemente pubblico e di visibilità, dall’altro dovettero rappresentare uno stimolo alla riflessione ed al cambiamento.
Durante la propria permanenza a Beausoleil il Formisano compose I Dialoghi sull’Ermetismo, frutto di decennali riflessioni sub specie interioritatis, che videro la luce in edizione fuori commercio e nel numero di sette (successivamente divenuti 9) nel 19291.
L’opera fu concepita con l’intento di consegnare ai posteri una esposizione quasi elementare dell’ermetismo, con la speranza di cancellare definitivamente quei fraintendimenti esegetici ai quali erano andati incontro gli scritti dell’ermetista campano.
Non vi è dubbio che il Formisano meditasse di dare un nuovo assetto alla propria Schola e che avesse in mente dei cambiamenti radicali relativi anche alla propria sfera personale, considerato che, nel 1928, aveva accarezzato il proposito di emigrare in America del Nord con la propria famiglia2. I Dialoghi rappresentarono un ideale vademecum per coloro che desideravano avvicinarsi allo studio della magia ed un ottimo strumento di studio e di riflessione per quei discepoli (ve ne erano numerosi) che, pur praticando, avevano ancora gravi difficoltà a comprendere persino i rudimenti del pensiero del loro maestro.
Il 26 febbraio del 1929, in una lettera privata indirizzata al prof. Quadrelli, alla quale abbiamo già fatto riferimento nell’incipit del precedente paragrafo, il Formisano riconobbe il fallimento del precedente assetto della sua scuola, auspicando una decristallizzazione della stessa che non sarebbe, purtroppo, mai stata attuata3. Il Kremmerz si spense, infatti il 7 maggio del 1930, stroncato da un ictus cerebri presso la sua abitazione di Beausoleil. Già al termine delle esequie alcuni seguaci giunti dall’Italia per prendere parte all’estremo rito, fra i quali vi era l’ avvocato Giacomo Borracci, si precipitarono nell’abitazione del defunto nella spasmodica, quanto vana ricerca di materiali riservati e di precise istruzioni concernenti la successione alla guida della Fratellanza. Il Formisano doveva certo avere provveduto a fare sparire la documentazione segreta in proprio possesso, consegnandola verosimilmente, al fuoco oppure alle sicure mani del segretario parigino Jean Brenniére, che fece ben presto perdere le proprie tracce4.