SECONDO GIULIANO KREMMERZ, DOMENICO BOCCHINI E GIUSTINIANO LEBANO, di elysius
Nell’arte di interpretare le voci arcane, detta ermeneutica, venivano addottrinati i soli figli di Ermete, ossia del segreto del Mercurio Trimegisto. Mer-Curio, il Mero, ossia il puro delle Curie. Tri-megister: nove volte maestro. Quindi nell’ermeneutica si rinviene l’arcano riferibile del trattato. Dice il Maestro Kremmerz: «I misteri si trovano nelle parole sacre come le rose negli spineti e per capire, investigare, penetrare il senso occulto delle parole non occorre solo un patrimonio di filologia volgare ma una certa dose di sale della sapienza ermetica che dà il senso classico dei parlari sacerdotali antichi. Studiare le parole che appartennero alle religioni morte, è un bene per chi vi riesce anche a metà. Non bisogna illudersi che oggi si conosca più che gli antichi conoscessero, poiché gli antichi nella scienza dell’anima umana furono profondi e sapienti come la scienza delle università moderne non lo sarà per altri secoli. Integrarsi è capire la forza e la virtualità dell’anima propria e della conoscenza soggettiva, il velo delle religioni simboliche è sollevato. E vi si scoprono tesori che passano inosservati come mucchi di cenci buoni a nient’altro che infiorare la poesia dei rari evocatori della età in ruina. Nessuno potrebbe comprendere la filologia sacra se prima non si è addottrinato nella pratica dei poteri divini, nell’Olimpo ermetico» . E, il Maestro Giustiniano Lebano: «Erano tre i parlari nel vetusto. Demotico, era il primo, ossia grammaticale, con cui parlava tutto il popolo; il secondo Hieratico appellato, oppur giocondo, ossia vatidico o poetico, o teologico, o filologico, od olimpico, con cui parlavano i sacerdoti e le caste patrizie, altrimenti olimpiche, non conosciuto dai grammatici e volgari. Il terzo in geroglifici aveva l’augusto, è a sacre impressioni, o figurativi, inconcepibile da chi non era alunno palladio, poiché si interpretavano in ideografie, e non hanno voci. L’ideografia far vari cerchi e carte che i grammatici chiamano cifre e nessi. Fra gentili tre erano i parlari. Due umani, uno divino. I due umani erano: uno in caratteri grammatici corsivi, e l’altro in caratteri grammatici ed anagrammatici, che si dicevano orfici, cioè privi di luce grammaticale, e si dicevano strofe, ossia in vertigini, che i maestri latini dicevano in versi».