Riccardo Donato
, La Chiave della Sapienza Ermetica secondo Giuliano Kremmerz Domenico Bocchini Giustiniano Lebano, Vol. 1 (Introduzione di Piero Fenili), Edizioni Rebis 2012, €30,00.

Esce per i tipi della Rebis di Viareggio questo contributo di Riccardo Donato, studioso della tradizione ermetica napoletana dai più, a torto o a ragione, appellata Scuola o Scala o Nodo di Napoli. Forse per la prima volta, un autore si propone di prendere di petto lo spinoso argomento del lessico peculiare dei Maestri napoletani, con specifico (ma non esclusivo) riferimento a tre grandi epigoni ‘visibili’ della tradizione in parola: Giuliano Kremmerz, Domenico Bocchini, Giustiniano Lebano. Posto che del primo molto, forse troppo, bene o male si è detto e scritto (talora, sia detto en passant, col fine di tagliarlo fuori dal novero degli autentici ermetisti partenopei), è sulle ultime due figure che, ad avviso di chi scrive, giova affissare lo sguardo il più possibile attento e disincantato, onde tentare l’ardua impresa di cogliere il senso riposto nei loro scritti. La massima parte dei quali (lo apprendiamo dalla bibliografia stesa dal Donato – con non poco stupore, considerata la mole impressionante di testi citati) non solo è inedita, ma anche ignota a quella che un tempo veniva chiamata la ‘repubblica delle lettere’, oggi perlopiù ridotta a democrazia del già fatto, già detto, già sentito, e senza nemmeno il vanto di una originarietà degna di considerazione.


L’autore palesa una indubbia cognizione, non tanto storica né ‘grammaticale’ (all’uso napolitano dell’aggettivo), del lascito letterario sapienziale degli esponenti dell’ermetismo partenopeo, in cui si muove con agilità non comune. Ne approfondisce la dimensione schiettamente iniziatica, lumeggiandone le latomie linguistiche, fornendo fin dove è possibile un filo ai ricercatori che si avventurano in quello che, usiamo il termine in senso bonario, è un vero e proprio ginepraio di doppi e tripli sensi, anagrammi, cabale fonetiche (la Cabala, per intenderci, del bruniano cavallo pegaseo), inseguimenti di parola a parola, di lettera a lettera nei labirinti di un lessico volutamente contorto, per così dire barocco, ornato di ghirlande di giochi di parole ed etimologie sacre – quelle che i pedanti, sempre per restare ancorati al linguaggio del Nolano, chiamano più o meno spregiativamente paretimologie. D’altronde mai si è vista rosa senza spine: sfrondata dalle quali, il fiore appare in tutta la sua bellezza e gentilezza, pronto per essere inghiottito dall’asino che così facendo riacquista, finalmente, le fattezze di Lucio.
In questo primo volume di un’opera che si prefigura ponderosa vengono poste le basi minime per un giusto approccio alla matassa da dipanare. Viene tracciata a grandi linee la ‘teologia’ della Scuola neapolitana, con riguardo alle figure sacerdotali (adombrate nel mito) delle Sirene, dei Centauri, dei Chironi e via dicendo, in aderenza al tessuto urbano della Palepoli arcana e delle Urbi, città mistiche celate agli occhi profani, nel cui seno si educavano i recipiendari ai Misteri. Che sono i Misteri del Mediterraneo, quegli stessi segretissimi riti diffusi – secondo quanto adombrato dai Classici con riferimento alla saga pelasgica – da Dardano a Samotracia, noti con le dovute varietà a Eleusi, a Dodona, a Lanuvio e via dicendo. Nel lessico dei Bocchini e dei Lebano, secondo una lezione in nuce similare a quella del Pernety, il mito si rivela contenitore e velo di sapienza, di insegnamenti mistici elargiti sotto il manto delle anfibologie e dei ‘parlari afantici e aporrezii’ accessibili ai soli iniziati in possesso delle chiavi di lettura. Secondo lo schema proprio agli Autori citati “erano tre i parlari nel vetusto”: ossia tre erano, in antichità, i linguaggi parlati a seconda della pertinenza al volgo o alle caste sacerdotali, inquadrate nel Senato maggiore e minore, luoghi mistici sì, ma anche fisicamente identificabili nella tela sotterranea delle Urbi arcane – a cominciare dalla Pale-poli, contraltare occulto, ‘adelio’, della ‘delia’ Nea-polis. Il Demotico, ad uso e consumo dei profani, conferiva plasticità verbale alla quotidianità, con i suoi affari e le sue normali preoccupazioni; il secondo, detto Hieratico, afferiva al dominio del Sacro ed era proprio alle caste sacerdotali; ma ve n’era un terzo, detto Geroglifico, non fonetico bensì espresso per ideogrammi che Svegliano solo alla mente del Saggio / L`ideografia fra varii cerchi, e rote”. È qui che, ancora oggi, è dato (a chi possiede la chiave della Scienza ermetica richiamata nel titolo) attingere il significato più profondo della tradizione di riferimento, adombrata negli scritti vatidici della Scuola. Questi tre parlari si riflettevano in altrettanti possibili livelli di lettura dei Classici: verità non nuova, ampiamente nota al Dante della Commedia e della Vita Nuova come ai suoi esegeti Rossetti e Vecchione (ex multis), ossequente alle possibilità espositive proprie ad ogni vero esoterismo.
La chiave di volta per la comprensione del lascito sapienziale dei Classici, nonché degli stessi Maestri napoletani, risiede in un linguaggio che ai suoi livelli superiori procede per sacre impressioni; chiamiamolo argot, à la Fulcanelli, o anfibologia, o ancora ‘pimandrie’ e ‘parlari Afantici Aporrezii’ – è indifferente. Questo linguaggio, è importante sottolinearlo, è patrimonio che si pone in termini di ermeneutica di scuola: lungi da ipotesi umane troppo umane, come quella giuridicamente inconsistente e spiritualmente disprezzabile del ‘plagio’ (accusa, pure, mossa nello specifico al Lebano, erede delle carte bocchiniane per virtù di matrimonio contratto con la nipote dell’ermetista salernitano), lo studioso si trova davanti a un lessico che, con le dovute e non trascurabili differenze, appartiene tanto a Bocchini quanto a Lebano, a Giordano Bruno, al Principe di San Severo (si pensi, ex multis, al cabalistico Lume Eterno), forse anche al Rezzonico ed all'abate Jerocades, autore della Lira Focense. Tra bizzarrie varie che (con buona dose di onestà intellettuale e un pizzico di quel sale il cui uso era caldeggiato dal Kremmerz) bisognerebbe comprendere se effettivamente siano o solo appaiano tali, è dato cogliere non pochi spunti interessanti: un'opera come Il Cielo Urbico, d'altronde, che fine potrebbe avere se non quello di fungere, in un certo senso, da ‘mappa’ allo Zodiaco interiore? Quello stesso Zodiaco che il Nolano, nello Spaccio, dice essere necessario, agli Dei, rettificare per primo onde procedere, in un secondo momento, alla riforma del Cosmo. Egli pone tra le labbra di Giove le seguenti parole, citate dalla Yates in un celebre studio1: "Disponiamoci, dico, prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi, e poi in questo sensibile che corporalmente si presenta a gli occhi". Coelum come ciò che è celato, per dirla appunto col Lebano, successivamente ripreso dal Kremmerz e, persino, in tempi più recenti dalla importante serie di scritti di Alessandro Giuli sul Fuoco Sacro in Occidente.
A margine, un desiderio che è anche una proposta lanciata agli studiosi più avventurosi: sarebbe molto interessante effettuare studi comparativi tra l'opera degli ermetisti napoletani e quella di Giordano Bruno, che con ogni probabilità attinse alla medesima tradizione e con cui è possibile cogliere anche particolari assonanze, tanto nel linguaggio quanto nella ‘mitologia’ di riferimento (del resto si potrebbe ironicamente affermare, si licet, che in tempi diversi hanno ‘frequentato tutti la stessa Piazzetta’). Per esempio, non sembra sia mai stato tentato uno studio teso a comparare le figure del Momo interlocutore di Iside nei Dialoghi bruniani ed il Mamo (Rosar Amru), di Iside sacerdote, della leggenda narrata dal Kremmerz2; il che, peraltro, potrebbe benissimo essere solo una congettura di chi scrive.
Il testo del Donato, dunque, ambisce a un posto d’onore negli studi sull’ermetismo napoletano. Va tuttavia segnalata, unica nota dolente, la davvero troppo elevata quantità di refusi presenti nel testo, probabile conseguenza di una mancata revisione delle bozze3. Apprezzabile la veste grafica, nel consueto grande formato che caratterizza le pregevoli opere della Rebis; notevole l’apparato iconografico d’appendice, recante le anastatiche di documenti in possesso dell’autore, tra cui spiccano alcune tavole lessicali in uso ai Maestri della Scuola partenopea e due documenti recanti i nomi dei componenti il Sinedrio dell’Ordine Egizio sotto il Pontificato di Sairitis-Hus (Giustiniano Lebano). Documenti che, se autentici, sono peraltro suscettibili di gettar luce su alcune delle più rilevanti ‘leggende’ dell’esoterismo italiano degli ultimi due secoli.
Da segnalare, infine, la pregevole introduzione a cura di uno dei più qualificati studiosi della Scienza di Ermete, il direttore degli storici quaderni di Politica Romana Piero Fenili.

Rumon

(tratto dalla recensione pubblicata su Vie della Tradizione n. 163, Gennaio – Aprile 2013)

 

1 F. A. Yates, Giordano Bruno e la Tradizione ermetica, Laterza, Roma-Bari 1992.

2 G. Kremmerz, Il Ritorno, in Commentarium VIII-IX-X-XI, Dicembre 1911.

3 In merito alla giusta osservazione, la Casa editrice Rebis informa che nel secondo volume dell’Opera sarà inserita un’adeguata e accurata  errata corrige.

Categoria: