Sulla (mancata) eredità iniziatica di Kremmerz, a cura di Syras
In riferimento al recente testo inserito nel sito, dal titolo “La scomparsa del Kremmerz ed il vuoto della successione” di G.M.Capiferro e C.Guzzo, riteniamo utile aggiungere la seguente interessante nota tratta dal volume “Il Sole Arcano” di P.L.Pierini R..
La nota, a pag. 9 del libro, fa parte del testo introduttivo “Le biografie di Giuliano Kremmerz”, e prende spunto dal seguente paragrafo:
Non molte le notizie in nostro possesso relative alla breve, ma ricca di particolari, biografia di Arduino Anglisani, l’ermetista kremmerziano che siglava i propri scritti con il parziale anagramma del proprio nome, “Nino D’Anglar”. Sappiamo che è stata realizzata nell’immediato dopoguerra e che raccolse giudizi alquanto critici dai superiori dell’Anglisani, in particolare da Benno-Lombardi, che in essa vedevano eccessivamente accentuati lati “troppo umani” del Kremmerz (…).
“Questo è il punto, o il pretesto, sul quale in particolare si sono accaniti indiscriminatamente alcuni rappresentanti in malafede di fazioni postkremmerziane con pretese (infondate) di continuità. Dobbiamo tuttavia soffermarci ulteriormente su questo nodo importante e aggiungere che il principale obiettivo “occulto” dei tentativi di “insabbiamento” e di “denigrazione” delle biografie storiche del Kremmerz (e ovviamente dei rispettivi Autori), da parte dei suddetti personaggi di ieri e di oggi, è sempre stata la scomoda realtà che da esse affiora limpida e inconfutabile, e cioè che il Kremmerz alla sua morte non lasciò alcuna eredità iniziatica, né la minima indicazione in merito a eventuali successori, procuratori, o incaricati pro tempore, segreterie ecc. E chi afferma il contrario ignora o preferisce eludere la realtà dei fatti, o mente sapendo di mentire. Pertanto appare altrettanto chiaro che qualsiasi successivo tentativo di riesumazione della sua Scuola, pure se operato in relativa buonafede (e in qualche raro caso indubbiamente ammirevole per onestà di impegno), è da ritenersi illegittimo e arbitrario e, nel migliore dei casi, di mera “ispirazione” kremmerziana. Non a caso la biografia più colpita dagli strali dei vertici di tali fazioni è proprio quella del Verniero, dalla quale risulta più che evidente – come confermato a suo tempo dal prof. V.Verginelli e da altri testimoni degli eventi, figlia compresa – che dopo la morte del maestro, peraltro sopraggiunta non inaspettatamente (segni e presagi espliciti si erano manifestati già da tempo al Kremmerz, il quale era certamente cosciente dell’imminente conclusione del proprio passaggio terreno), non fu trovato alcun documento, né istruzioni di sorta (né scritte né orali) e neppure un accenno a una qualsiasi volontà di continuità della Fratellanza da lui fondata.
Quale può essere il motivo di tale silenzio – forse più eloquente di qualunque testamento scritto – da parte del Kremmerz? Non certo la pallida e traballante ipotesi azzardata da alcuni, secondo la quale, in base alla Pragmatica Fondamentale, il Kremmerz, nella sua qualifica di “Delegato Generale”, non poteva nominare alcun delegato. A parte il fatto che la Pragmatica non è mai stata rispettata alla lettera nemmeno quando il Kremmerz era in vita, il paragrafo 48 della suddetta recita: Il Delegato Generale (…) può, autorizzato, farsi sostituire temporaneamente o delegare a sua volta un rappresentante diretto per una regione o stato. E così prosegue: In caso di morte, dal circolo dei maestri sarà eletta una terna su cui cadrà la scelta del Collegio Operante. Quindi, anche stando alla “regola”, se il Kremmerz avesse voluto e fosse stato “autorizzato”, avrebbe tranquillamente potuto “delegare a sua volta un rappresentante diretto”, quantomeno per l’Italia. Di conseguenza, non ha voluto o, se vogliamo essere più generosi, forse non è stato autorizzato, anche se dovremmo chiederci a questo punto da chi. Ma perché non dichiararlo, o se non altro confidarlo a qualche stretto collaboratore?... Più difficile la seconda ipotesi prospettata dalla Pragmatica, mancando i necessari maestri sui quali far cadere la scelta di un inesistente Collegio Operante. Ma lasciando da parte l’incerto valore di regole aleatorie, per il Kremmerz sarebbe stato più che sufficiente e, potremmo aggiungere, doveroso, lasciare (o, al limite, inviare) a qualche discepolo fidato, o allo stesso devoto segretario Brennière, una lettera, un biglietto, un messaggio qualunque, nel quale avrebbe potuto benissimo spiegare le ragioni di questa mancata “successione”, adducendo a sostegno proprio questa o una qualsiasi altra giustificazione. Nessuno avrebbe avuto niente da obiettare. Ma così non è stato. E questo, se non si vuole mettere in dubbio il senso di responsabilità del Kremmerz, costituisce un’ulteriore conferma indiretta dell’inconsistenza di ogni richiamo a una Pragmatica se non formalmente abrogata, in pratica ormai ininfluente [a questo proposito, nella "Storia della Fratellanza di Miriam" pubblicata sul sito giulianokremmerz.it leggiamo testualmente: "era dal 1 gennaio 1913 che la Pragmatica non veniva più formalmente applicata e che la Fratellanza di Miriam non aveva più un Delegato Generale" - ndc]. Inoltre, come già scritto, il Kremmerz poteva certamente, e comunque, nominare se non un rappresentante ufficiale, almeno un “procuratore” o “fiduciario”, al quale affidare compiti sia pure limitati ma ben definiti, oltre a carte e materiale della Schola, allo scopo di garantirne in qualche modo la continuità e la sopravvivenza, in attesa del “contatto” obbligato con quei fantomatici “dodici vecchi maestri” dell’altrettanto fantomatico Collegio Operante, in ossequio al paragrafo 45.
Ma la risposta più semplice a questo apparente enigma irrisolto, l’ennesimo nella vita dell’ermetista di Portici, è probabilmente la più realistica e umana: il Kremmerz, per troppi motivi, in parte ormai noti, non voleva, né poteva, fare in modo che la propria “creatura”, la Myriam, avesse un seguito, anche se, da buon “padre”, non ebbe il coraggio di porre una parola definitiva su di essa, formalizzandone la “fine”. Adottò invece una soluzione di ripiego quasi indolore, tradottasi in una sorta di eutanasia, ben consapevole del fatto che senza la sua autorevole e insostituibile presenza e senza autorizzazioni o indicazioni specifiche, nessun altro avrebbe potuto raccoglierne il testimone e gravarsi della diretta, drammatica responsabilità di una qualunque forma di continuità priva del benché minimo legittimo “mandato”. E probabilmente non voleva che la Scuola proseguisse senza di lui, unico punto di riferimento gerarchico effettivo e riconosciuto e unico garante di una reale conoscenza iniziatica (tutti i discepoli di Kremmerz “iscritti” al cosiddetto Ordine Egizio erano soltanto degli “indiretti posti alle sue dipendenze”), perché di fronte al bilancio conclusivo di un’esperienza ormai pluritrentennale, il suo giudizio appariva manifestamente critico, come testimoniano ampiamente i suoi scritti pubblici e soprattutto privati, nei quali esprime a chiare lettere delusione e amarezza. Giudizio evidentemente aggravato dal peso insostenibile di scabrosi episodi verificatisi negli ultimi anni della sua vita, relativi, tra l’altro, a una squallida truffa “nummaria” ordita ai danni del barone Ricciardelli, nella quale furono direttamente coinvolti alcuni dei suoi discepoli “più progrediti” e, seppure indirettamente, lo stesso Kremmerz.
Ma anche “tecnicamente” le difficoltà erano soverchianti, perché al di là di regole dal valore molto relativo, se non puramente simbolico, di una Pragmatica che ormai da anni non aveva più senso (ricordiamo che il K. nel 1929, un anno prima della morte, così scriveva a un discepolo romano: Vi ho già detto che il mio ideale pratico sarebbe stato e dovrebbe essere l'insegnamento orale senza posa e senza cattedra (…) Anzi, vi accennai che realmente la cosa [la Scuola], come in origine, avrebbe dovuto svolgersi senza messa in scena, senza circoli e senza accademie – cfr. Nota 6), il Kremmerz ben sapeva che dietro e dopo di lui non esisteva – o non esisteva più – alcun “Ordine Egizio”, e, parlando in termini nitidi e seri, nessun autentico esponente del medesimo si sarebbe mai potuto presentare, come infatti, se si escludono i frutti periodici di risibile e interessata fantasia, si è poi verificato. Quindi, alla fine, la sua “scelta”, o “non scelta”, comunque adeguatamente ponderata, fu una sola: il silenzio. Un “silentium” decisamente significativo e sinonimo palese di una precisa volontà che, a mio avviso, e soprattutto alla luce di quanto accaduto nei decenni successivi e oggi più che mai, di fronte al vergognoso “esempio” di chi ne usurpa il nome e l’insegnamento, avrebbe dovuto essere soltanto rispettato.”