Editore: Controcorrente
pp. 238, tavv. b/n f. t., Napoli
Aristotele spiegava che nei misteri non si tratta di apprendere ma di provare un intenso stato interiore. Per gli antichi il sapere astratto, cerebrale, non aveva molto senso. Il Sapere era davvero tale solo se investiva la totalità della vita e della natura dell’uomo e lo trasformava. Era appunto questo il fine dei Misteri: che l’uomo, per effetto della Conoscenza, divenisse completamente diverso da ciò che era prima, quando ne era privo. Questa istanza di nobilitazione e di elevazione era il filo d’oro che univa le spiritualità misteriche del mondo antico, al di là delle varie forme rituali e delle vie praticate per conseguire l’unione col diviso: dai misteri di Eleusi a quelli di Apollo, dalla corrente orfica a quella dionisiaca, dai Misteri di Samotracia a quelli di Cibele e Attis. Fino ai misteri di Iside e Osiride, per giungere ai Misteri pagani nel rinascimento. Adoperando il metodo “tradizionale” che privilegia l’attenzione per il mito e il simbolo, e integrandolo con l’approccio alle fonti secondo il metodo scientifico, l’Autore legge i miti fondanti delle diverse correnti misteriche sotto l’aspetto dell’interiorità dell’uomo. Nel capitolo finale è affrontato il tema della possibile attualizzazione del retaggio misterico in forma adatte alla mutata costituzione interiore e mentale dell’uomo occidentale contemporaneo, richiamandosi alla lezione di Rudolf Steiner e alla Via del Pensiero Vivente.