“..il cristianesimo si presenta come una forma disperata di dionisismo.
Formatosi essenzialmente in vista di un tipo umano spezzato,
esso fece leva sulla parte irrazionale dell’essere
e al luogo delle vie dell’elevazione <<eroica>>, sapienziale ed iniziatica,
pose come organo fondamentale la fede.“
(J. E., Rivolta contro il mondo moderno, in Sincope della Tradizione Occidentale)
Nel presente articolo, per i lettori di EreticaMente, proseguiamo nella nostra analisi del pensiero evoliano, cercando di depurarlo da interpretazioni poco affini con quanto realmente espresso dal Barone e dalle numerose appropriazioni indebite da esso subito. Dopo aver chiarito quale fosse, quale sia la reale relazione – di estrema distanza – dell’ermeneutica evoliana rispetto alla realtà latomistica, ci accingiamo, in questa analisi, a constatare quanto una medesima distanza sia esistita nella personalità, esista nelle opere, rispetto alla religione cristiana, nella sua formulazione cattolica, così come manifestatasi in Occidente.
Prima di evidenziare i riferimenti specifici di forte critica che Evola effettuò nelle sue opere al Cattolicesimo, riteniamo sia imprescindibile far notare che la personale concezione del Sacro espressa in tutta la sua vita, in tutti i suoi scritti, può già esser sufficiente a rimarcare una palese diversità della Weltanschauung tradizionale, così come concepita dal “filosofo” (termine da intendersi in senso arcaico e non sistematico – moderno), rispetto non solo alla fede cristiana, ma, in generale, alla dimensione religiosa e devozionale. Così come abbiamo tematizzato nel nostro saggio apparso nello speciale per Vie della Tradizione, speciale con gli atti del convegno del 2014 a Napoli nel quarantennale della sua morte, la prospettiva evoliana al Sacro è stata prettamente magico – trasmutatoria, prediligendo anche nel testo che rappresenta la chiave di volta del suo insegnamento, cioè La Dottrina del Risveglio, un atteggiamento attivo – intensivo anche nell’ambito dell’ascesi, oltre che nell’ambito della ritualità teurgica, così come è emerso nelle sue opere magiche (monografie di Ur, La Tradizione Ermetica, Metafisica del Sesso, i diversi saggi su Mithra e l’iniziazione, etc…), oltre che nell’archivio della Fondazione, così come testimoniato da Gianfranco De Turris nel suo ultimo libro “Julius Evola – Un filosofo in guerra” per Mursia, circa la realtà trasmutatoria praticata da Evola:
“Vi è dunque – latente in ognuno – una volontà di ardere, di divenire fiamma consumando una data materia. Il combustibile stimola questa volontà, attua il fuoco in un processo di combustione dal quale però risulta un più alto grado di calore, vale a dire una nuova energia potenziale di ardere, di destare un nuovo incendio, e così via, ricorrentemente” (J. E., La Dottrina del Risveglio, in La fiamma e la coscienza samsarica).
Chi si diletta nelle acrobazie intellettuali e nei tentativi parrocchiali di avvicinare il pensiero evoliano alla catechesi vaticana, spesso fa finta che certi scritti non siano mai esistiti, che certe dimensioni (quella teurgica ed emetica), non siano mai state considerate o le si confina in riflessioni di una gioventù rinnegata. Molto esemplificativo è l’esempio di Imperialismo Pagano: in un’intervista ad Ordine Nuovo, che citeremo di seguito, non si rinnega la suddetta opera giovanile, ma si ritiene, negli anni ’60, di non consigliarne la lettura ai giovani militanti, ai quali si rivolgeva la detta intervista, e che l’opera citata fosse nata in una congiuntura particolare, quella della fine degli anni ’20, in cui col Gruppo di Ur, si sperava di suggerire una direzione diversa al Fascismo. Ciò ci fa comprendere come tali insegnamenti non vengano assolutamente rinnegati, ma riportati nella dimensione riservata ed iniziatica, a cui propriamente appartengono. In merito, si dimentica, inoltre, che proprio ne La Tradizione Ermetica, Evola fornisca un’interpretazione ermetico – simbolica del calvario del Cristo, quale catarsi superindividuale legata alla dimensione magica del sangue, inteso come veicolo eterico dello Spirito individuale ed Assoluto: ma il dogma non ammette l’ontologia del simbolo, sopratutto inerente alla propria tradizione, che si pretende di voler limitare ad un femmineo misticismo. Noi, qui, non ci riferiremo a nulla di eccezionale, ma rimanderemo il lettore a quanto lo stesso Evola ha dichiarato nelle sue ultime interviste, a quanto ha scritto fino all’istante del trapasso su Vie della Tradizione, a quanto è facilmente consultabile su Ricognizioni, l’ultima sua opera, e, nello specifico, in quanto riportato nello splendido capitolo dedicato all’ultimo imperatore pagano, il Divino Giuliano.
Altra sfera del simbolo spesso volutamente fraintesa è stata quella inerente gli studi evoliani circa l’era medievale nei suoi riferimenti cavallereschi ed imperiali. Qui si è manifestato un curioso e divertente gioco speculare delle parti. Con l’abusato e mal compreso riferimento alla “scelta delle tradizioni”, alcuni neopagani hanno voluto ìntedere gli approfondimenti in questione quasi come un tradimento della tradizione romana e mediterranea, da parte del “filosofo”, con concessioni inaccettabili al teutonico impero cristiano del Nord, come, similmente, ex – evoliani, ora folgorati sulla via di Damasco, hanno inteso le medesime pagine, come una prova inconfutabile della vicinanza alla fede cristica. Ovviamente, il buon senso di Evola, ma anche dell’attento ricercatore ha imposto ed impone di superare certe estremizzazioni dicotomiche e settarie, essendo il modus pensandi evoliano sempre rivolto ad una sfera palingenetica dell’Essere e mai limitatasi a considerazioni di mera aderenza religiosa. La ricerca del Graal, tutto il simbolismo connesso con Dante ed i Fedeli d’Amore, la concezione dell’Impero, così come espressa anche in “Rivolta contro il mondo moderno”, hanno assolutamente una valenza di profonda natura interiore e realizzatrice:
” …una prova ulteriore consiste nel riaffermare adeguatamente la qualità virile sul piano sovrasensibile, il che ha per conseguenza appunto la trasformazione olimpica, il conseguimento di quella dignità, che nelle tradizioni iniziatiche è stata sempre designata come <<regale>>” (J. E., Il Mistero del Graal, in Sull’Eroe e sulla Donna).
Per chi si attarda nelle guerre internetiane di religioni, nelle faide infinite tra cristiani, pagani e massoni, sia bastevole quanto Evola ponga in risalto in merito alla figura dello Stupor Mundi, Federico II, l’imperatore tedesco che in Puglia, in Basilicata ed in Sicilia rinnovò l’antico dominio normanno, con costruzioni a lui riferibili come Castel del Monte, che esotericamente parlano da sole, il sovrano scomunicato diverse volte per la sua non sottomissione al Papato, l’uomo iniziato dal sultano Al – Kamil al sufismo… insomma ci sono elementi sufficienti affinchè tutti si mettano l’anima in pace!
Ritornando al tema dell’articolo, negli ultimi decenni della sua vita, prendiamo atto di come per alcuni affermano si sia verificato un suo avvicinamento del Barone al Cattolicesimo, niente di più falso, ovviamente! Se alcune proposizioni di opportunità politica, come quella inerente il Sillabo espressa in Orientamenti, avevano il senso di una resistenza contingente alla decadenza montante, come indirizzi ai giovani militanti, sia quanto espresso successivamente in “Cavalcare la tigre” circa la necessità di liberarsi di tutte le sovrastrutture del passato sia lo spettacolo offerto dalla Chiesa dal Concilio Vaticano II fino all’imbarazzante figura di Bergoglio sgombrano il campo definitivamente da qualsiasi espediente dialettico, da qualsiasi arrampicata sugli specchi. Purtroppo, anche in relazione al Cattolicesimo, come già acclarato con la massoneria e come vedremo in un seguente articolo per il neopaganesimo, si avvera la “profezia” contenuta nell’incipit degli insegnamenti di Ur: l’incontro con Evola è l’incontro non con una personalità, ma con un traghettatore che conduce il ricercatore nel campo sovrasensibile della conoscenza del proprio Io. Vi si impone una profonda catarsi interiore, vi si impone, tramite le modalità espresse dal Barone, una violenta ed eroica presa di coscienza di se stessi, vi si rapporta all’improvvisa con una Forza non comune e che non tutti hanno saputo metabolizzare e far sedimentare. Tale forza non assunta consapevolmente, naturalmente, ha condotto molti evolomani a deviare verso forme più comode di pseudo – sacralità. Non casuale, a proposito, è la famosa espressione evoliana
“Non incoraggerei nessun volgare anti-cattolicesimo o paganesimo dilettantistico. Ma si dovrebbe riconoscere quel che ripetutamente ho affermato, ossia che essere tradizionalisti cattolici significa essere tradizionalisti solo a metà e che è puerile voler insistere sugli eventuali valori tradizionali del cattolicesimo… ” (J. E., Intervista apparsa sulla rivista Ordine Nuovo, gennaio – febbraio 1964).
Tutto ciò, infatti, ha prodotto ex – evoliani che sono transitati da un’adorazione quasi farsesca del Maestro ad un improvviso odio radicale verso lo stesso, oppure ad un’incessante opera di “guenonizzazione” dello stesso, simulando un completo appiattimento del suo pensiero rispetto a quello espresso dal tradizionalista francese, sempre con la benedizione di Santa Romana Chiesa. E’ risaputo quanto il pensiero evoliano debba all’ermeneutica di Guénon, è un elemento chiarito dallo stesso Evola nella sua biografia spirituale, “Il Cammino del Cinabro”; è risaputo, anche, che tale debito non si sia configurato come un’accettazione passiva e supina di tale ermeneutica guenoniana, e ciò è altrettanto acclarato. Come sempre, non servono fumose disamine dialettiche, ma è sufficiente un ponderato lavoro filologico e delle fonti. Ciò che differenziava la visione tantrica evoliana dall’idea ascetico – vedantina di Guènon è semplicemente riscontrabile nei testi sullo Yoga; ciò che differenziava i due tradizionalisti rispetto all’apprezzamento o meno della dimensione magica e teurgica, è chiaramente espresso nei testi, nelle interviste rilasciate, nelle missive private. Le prefazioni alle opere di Meyrink, redatte nelgi ultimi anni di vita, le dichiarazioni inerenti la fratellanza ermetica di Kremmerz, oltre al materiale reperito dalla Fondazione Evola, dimostrano solarmente quanto la concezione evoliana del Divino fosse lontana da un ricollegamento fideistico e religioso, al di là di quanto ne poteva pensare in merito il pur apprezzabile Guènon e qualche improvvisato catechista contemporaneo.
Infine, sinteticamente non possiamo non citare due episodi della vita di Evola, al quanto significativi in merito. Il primo, riferitoci da una persona molto vicina al medico personale di Evola, riguarda un ricovero avvenuto alla fine degli anni ’60 per le note problematiche cardiache del Barone, in cui lo stesso, già riottoso al ricovero stesso, manifestò continuamente il suo disappunto per il comportamento “invadente” di alcune suore nei suoi confronti, al limite dello stalking, diremmo oggi. Il secondo episodio è riferibile alle precise prescrizioni indicate da Evola nel suo testamento circa – al momento della sua dipartita terrena – la sua cremazione e la posa delle sue ceneri in uno ghiacciaio del Monte Rosa, che esattamente non rientrato nelle modalità di inumazione previste dalla dottrina cattolica, e su cui in futuro forse espliciteremo un’analisi specifica.
E’ lecito dissentire in parte o totalmente dalle interpretazioni fornite dalla dottrina tradizionale, così come formulata da Evola; è risibile che dissentano coloro che fino ieri si dichiaravano iper–evolomani; non è accettabile che si presentino come evoliane tematizzazioni ed idee, che non sono neanche lontanamente accostabili alla sua visione del mondo!
Ai lettori diamo appuntamento, in conclusione, alla terza parte di questa nostra disamina, in cui ci occuperemo dei rapporti del pensiero di Julius Evola con la tradizione arcaica ed il neopagenismo.
(Tratto da ereticamente.net che ringraziamo per la collaborazione)