la vita e l’opera di un vero Adepto

Quando si parla di alcuni uomini, esprimere dei giudizi appare notevolmente complesso. Per altri, invece, inquadrare la personalità di un individuo è cosa di poco conto, è assolutamente facile. Poco importa se chi esprime tale sentenza è un profano o un ignorante (colui che ignora). Così, quando si parla di Cagliostro, il grande ermetista, la prima cosa che viene detta è che era un ciarlatano. Sfogliando il Dizionario della Lingua Italiana, edito dalla De Agostini, per esempio, Cagliostro viene menzionato in questa maniera: “Avventuriero e imbroglione che si faceva chiamare Conte di Cagliostro”. 

Perché meravigliarsi, quando in alcuni libri di testo della mia infanzia il genio artistico Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, veniva descritto come un povero selvaggio, ignorante e dedito solo alle risse e agli eccessi? Sappiamo bene che, contrariamente a quanto affermato, Caravaggio in realtà era una persona di cultura, profondo conoscitore dei simboli ermetici, avviato agli studi del simbolismo dal celebre e machiavellico Cardinal del Monte, uomo dotto e risoluto. Dopo questa necessaria premessa torniamo a occuparci di Cagliostro, figura controversa, certamente con molte zone d’ombra, con i suoi difetti (era un uomo del resto) che commise degli errori, ma che sicuramente non era un imbroglione e, a ragione, viene considerato da chi segue il percorso iniziatico un autentico sapiente conteso da re, principi, uomini politici e anche da personaggi vicini alla Chiesa. I fermenti iniziatici che il 24 giugno dell’anno 1717, festa del patrono dei costruttori, San Giovani Battista (ritenuto negli ambienti gnostici persino più importante del Cristo), culminarono con un atto di costituzione della prima loggia massonica nella città di Londra. Questo vento di innovazione e di rinascita delle antiche tradizioni ermetiche soffiò con forza anche a Roma, la città iniziatica per eccellenza che aveva visto nascere culti misterici e ordini magici di matrice italica che raccoglievano in sé frammenti degli antichi Ordini Sacerdotali egizi. Non a caso, Roma, vero e proprio specchio d’Oriente, aveva accolto nell’antichità culti stranieri che qui avevano trovato un fertile terreno per mettere radici e diffondere i loro insegnamenti; basti pensare al culto di Iside, di Serapide e alla magia dei maghi Caldei che erano stanziati nel quartiere di Trastevere (quartiere greco), il luogo in cui attualmente sorge Villa Sciarra e che anticamente ospitava il tempio delle Ninfe Furrine, le cui rovine sono tuttora visibili. Come già anticipato, la rivoluzione di pensiero mirata a risvegliare l’antica sapienza giunse anche nella Città Eterna. Qui, nel 1735 nacque la prima loggia massonica (seconda sul territorio dopo quella sorta a Firenze). Essa si era ispirata in parte ad una loggia nata in Francia intorno al 1724, fondata da Andreas Michel de Ramsay, conosciuto da tutti con l’appellativo di cavaliere de Ramsay, come spiega lo studioso Salvatore Spoto nel suo splendido volume Roma Esoterica (Newton & Compton Editori, Roma 1999). Questa loggia francese a sua volta si rifaceva ai cavalieri gerosolimitani, i Templari e contemplava in sé i valori del Cristianesimo commisti ai principi della cavalleria medievale. Le idee del cavaliere erano ben note agli esponenti della cultura romana che cercavano un’alternativa all’ormai logoro e corrotto potere pontificio. Un potere che ostacolava la nascita delle logge, nonostante i suoi appartenenti si ritenevano dei credenti e percorrevano un sentiero volto ad avvicinarli a Dio. Tuttavia, quale spiriti liberi, non accettavano condizionamenti di sorta né le imposizioni (spesso infarcite d’ipocrisia), del clero. Per tale ragione si ingenerò un violento scontro tra il potere della Chiesa e l’alto ideale massonico di quel tempo. Allo scopo di fermare la dilagante filosofia massonica, nata all’insegna della Tradizione iniziatica e spirituale del passato, nel 1738 papa Clemente XII condannava ufficialmente i riti massonici promulgando la prima bolla che vietava le pratiche in questione. Ciò nonostante, l’esigenza di professare le proprie idee (come avevano già fatto i cristiani ora intolleranti), spinse gli intellettuali a proseguire sulla via intrapresa. A causa di tale reazione, il 18 maggio 1751, papa Benedetto XIV emise una seconda bolla, un anatema, ma valse a poco perché la Roma dei miti e dei Misteri era permeata ancora dagli echi dell’antica magia, dell’alchimia e dell’astrologia medievale e rinascimentale. Pur spodestando le autentiche radici esoteriche, il papato non riuscì mai a cancellare totalmente la vera immagine, il volto segreto di una Roma che era nata pagana, non cristiana. E’ in questo contesto che prende corpo la figura di Giuseppe Balsamo, iniziato ai Misteri dell’antico Egitto, che nel futuro passerà alla storia con il nome di Alessandro Conte di Cagliostro. Le sue gesta, divise tra realtà e leggenda, hanno lasciato un’impronta indelebile che ancora oggi suscitano numerosi interrogativi rivestendo di un’aura misteriosa la sua vita.

Il breve noviziato di Giuseppe Balsamo

Giuseppe Balsamo nacque a Palermo nel 1743, anche se alcune fonti (poco attendibili), dichiarano che in realtà la sua nascita avvenne in Portogallo e che i suoi genitori erano il Re Giovanni V e Donna Eleonora di Tagore. Noi ci atterremo alla prima versione. Venne alla luce in Sicilia dunque, da Pietro Balsamo, un commerciante, e da Felicita Bracconieri. Pietro non navigava certo nell’oro. In quel tempo, infatti, la vera ricchezza circolava all’interno di una ristretta cerchia di nobili. Rimasto orfano ancora fanciullo, venne cresciuto dagli zii che lo amavano come fosse il loro figlio naturale. Poco incline agli studi, si rivelò un pessimo studente la cui condotta era soggetta a punizioni da parte del corpo insegnante. Il suo vero interesse era rappresentato dalle lezioni di chimica che lo appassionavano e lo coinvolgevano. Il fascino degli alambicchi, l’atmosfera quasi misteriosa che si respirava nel laboratorio fecero nascere in lui la vocazione per gli studi alchemici. Tutti gli autentici ermetisti hanno mostrato un precoce interesse per le cose esoteriche e Giuseppe non faceva eccezione. Nonostante questa sua inclinazione, a causa dello scarso profitto gli zii pensarono che fosse più conveniente ritirarlo dalla scuola. Ma quando tutto sembrava ristagnare si presentò una novità che vestiva i panni di un monaco proveniente dalla provincia di Catania. Si trattava del padre generale appartenente all’ordine dei Fatebenefratelli. La famiglia, dopo avere raccontato le peregrinazioni del ragazzo e la disperazione che serbavano nel cuore, riuscì a convincere il religioso a condurlo con sé. Secondo un’altra versione, fu Felicita Bracconieri ad affidarlo al monaco, perché dopo la morte del padre non aveva i mezzi per mantenerlo. Pur non essendo interessato a intraprendere la strada del sacerdozio, il giovane si rese conto che quella era l’unica occasione per uscire fuori dal contesto che lo riguardava, una realtà che offriva ben poche possibilità per il futuro. I due si diressero verso Caltagirone, sede del Convento. La sua curiosità e la sua predisposizione verso le cose naturali gli permisero di lavorare accanto al monaco speziale tra le erbe e gli alambicchi che tanto lo affascinavano. Qui apprese i primi rudimenti di chimica e farmacologia. All’apparenza tutto scorreva tranquillo ma, a quanto si dice, un giorno Giuseppe commise un’azione che fece infuriare i monaci. Sembra, infatti, che durante la recita delle litanie, sostituì i nomi delle sante con quelli di alcune note prostitute del paese. Per questa ragione fu posto in isolamento per un lungo periodo. Dopo questo atto penitenziale Giuseppe uscì dalla sua cella e venne allontanato dal convento. Per il giovane iniziava una nuova avventura lungo strade del mondo. Pare, che per prima cosa fece ritorno a Palermo, deciso a intraprendere la professione di pittore. Le cose però non volsero al meglio e questo progetto sfumò nel nulla. In seguito si recò a Roma, ma non si ha traccia dei suoi spostamenti precedenti e non si hanno notizie documentali che lo riguardano. Forse, come dichiarerà lui stesso più avanti, proveniva da terre sconosciute, aveva passato parte della sua infanzia alla Mecca ed era entrato in contatto con una realtà iniziatica legata ai Misteri dei Sacerdoti egizi attraverso l’insegnamento di un Maestro, il misterioso sapiente Altotas. Uno scritto, a firma di monsignor Barberi, esponente di spicco del Sant’Uffizio, dal titolo Compendio sulla vita e le gesta di Giuseppe Balsamo, smentiva seccamente la versione fornita dal Balsamo asserendo che quell’uomo era un volgare truffatore dedito a inventare storie impossibili. Ancora una volta, tutto appare nebuloso e le versioni sono contrastanti. A tale riguardo Cagliostro sentenzierà più tardi: “Troppe menzogne sono state scritte e dette su di me, ma la verità non la saprete mai, perché nessuno la conosce”. Certo è che fu proprio lui a dare nuova vita all’antico culto di Hiram, il leggendario architetto di Tiro, al quale Re Salomone aveva chiesto di progettare ed edificare il suo immortale tempio. Mediante un’elaborazione simbolica, Cagliostro fece coincidere la figura di Hiram con la figura divina di Osiride, risvegliando i Misteri della magia egiziana e il culto di Iside. Ma vediamo cosa accadde quando l’iniziato giunse a Roma.

Cagliostro a Roma, la città del mistero

Il suo arrivo a Roma non fu dei migliori, almeno stando a quanto ci è stato tramandato. Aveva preso alloggio alla Locanda del Sole, che sorgeva al Pantheon, un luogo molto particolare, dove l’atmosfera dei riti orientali diffusi nella Roma imperiale  era ancora viva. La moglie di un cameriere (non si capisce se fosse in  realtà la consorte del proprietario stesso), cercò di circuire il giovane siciliano accusandolo in seguito di avere abusato di lei. Il marito della donna pretendeva del denaro in cambio del torto subito, altrimenti lo avrebbe denunciato. Sentendosi accusato ingiustamente e trovandosi nel mezzo di uno squallido raggiro Cagliostro reagì violentemente. Ferì l’uomo con un coltello e di conseguenza finì in prigione. Ma successivamente, chiarita la sua posizione, venne rilasciato. Intanto a Roma si respirava un’aria pesante, frutto del clima di intemperanza che proveniva dal clero. Le morti eccellentidei liberi pensatori che si opponevano alla Chiesa avevano gettato un’ombra malevola sulla città, e gli spettri delle vittime parevano aleggiare tenebrosi chiedendo giustizia. Il rogo di Giordano Bruno, il filosofo nolano e grande iniziato, che si era tenuto a Campo dei Fiori il 17 febbraio del 1600, aveva lasciato aperta una ferita profonda che rischiava di non rimarginarsi. Anche la condanna dell’alchimista Giuseppe Francesco Borri,  catturato il 3 gennaio del 1670, e morto in un carcere umido e buio in circostanze mai chiarite, destava ancora raccapriccio. Erano lontani i tempi in cui le sacre cerimonie, improntate ai fasti della terra dei Faraoni, effondevano la loro luce tra le vie di una Roma ormai scomparsa. Al centro, dove sorgeva e sorge la Chiesa di Santo Stefano del Cacco, svettava imponente il magnifico tempio di Iside, fatto edificare dai triumviri Antonio Lepido e Ottaviano, a testimonianza delle sacre radici d’oriente. Qui, Lucio Apuleio, sacerdote iniziato ai Misteri Isidei, aveva cantato in un’opera immortale, l’Asino d’Oro, i segreti connessi con l’iter iniziatico legat Antonio Lepidoo alla dea lunare. Le orme lasciate nel suolo romano dall’antica religione erano sepolte tra le coltri del tempo, e attendevano di essere riportate alla superficie per rinnovellare gli antichi splendori e la sacralità del passato. Nel Foro, la Via Sacra recava l’impronta imperitura di un culto misterioso, di un sapere perduto. La Porta Alchemica, o magica (situata nei giardini di piazza Vittorio, dove un tempo si trovava la residenza del Barone di Palombara), portava impressa nella pietra la conoscenza in possesso del Borri, gesuita mancato, alchimista e anticipatore di Cagliostro. In essa erano scolpite strane scritte, formule alchemiche. Questa, l’eredità storica che verrà raccolta da Balsamo, medico-mago, uomo d’eccezione che impiegò gran parte della sua esistenza per alleviare le sofferenze dei malati che spesso guariva senza chiedere nulla in cambio. Fu il primo ad applicare certe tecniche molto vicine a quelle psicoanalitiche e a creare dei medicamenti tuttora utilizzati in Francia. Numerose le testimonianze che parlavano del suo carisma. Il fato, la predestinazione o chissà cosa, crearono le circostanze apparentemente casuali che fecero incontrare Cagliostro con la donna che giocherà un ruolo determinante nella sua vita, una giovane romana di quattordici anni, la figlia di un fonditore di metalli, Lorenza Feliciani. A quanto si racconta, i due si conobbero per mezzo di una mezzana di Napoli che abitava a Roma, in via delle Grotte. Nel 1768 si sposarono e dopo un breve soggiorno a Napoli si diressero a Londra, dove, come gia spiegato, la massoneria era ben radicata. Nel frattempo, Cagliostro si iscrisse alla loggia La Speranza dove apprese i segreti ermetici. In seguito, i coniugi si recarono anche a Lipsia, dove Balsamo entrò in contatto con una società esoterica presso la quale approfondì le sue conoscenze relative l’antico culto di Iside e Osiride. Precedentemente, la coppia aveva visitato la Russia, Strasburgo e Varsavia raccogliendo notevoli consensi. Intanto la fama di Cagliostro cresceva in maniera esponenziale e quando giunse a Parigi era già un mito. Ma con la celebrità arrivarono anche i nemici, specialmente i medici e i prelati che incominciarono a diffondere false notizie sul suo conto allo scopo di diffamarlo. E fu proprio a Parigi che, insieme alla moglie, fondò la prima loggia ispirata ai Misteri e ai culti magici dell’antico Egitto…       

(continua)

 

 

 

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