L’uomo sta vivendo, accanto ad uno straordinario sviluppo della scienza e delle tecnologie, una forma estrema di imbarbarimento che mette a repentaglio, non solo il suo rango sempre rivendicato di homo sapiens, ma addirittura il diritto alla sua collocazione al vertice dei tre regni della natura, minerale, vegetale ed animale. Il punto è che i successi, ai quali ho accennato, lo hanno spesso reso simile a quei parvenus che, provenendo dagli strati più bassi della società, hanno ”fatto i soldi” e si ritengono pertanto legittimati ad usare ed abusare con arroganza e sfrontatezza del nuovo potere conquistato, senza curarsi dei diritti e delle esigenze degli altri.
Con una psicologia da schiavo liberato, gonfia di ancestrali risentimenti, l’uomo si sente in diritto di far pagare al resto del mondo il prezzo dei suoi discutibili progressi e delle frustrazioni accumulate nel tempo e trasmesse nel suo DNA. Così nulla riesce più a scampare al suo istinto di predatore esasperato da un lungo digiuno. Questo si nota soprattutto nell’assoluta noncuranza, crudeltà e disprezzo con i quali tratta il regno animale, sul quale può finalmente esercitare incontrastato un tirannico dominio su scala mondiale. Ma, come tutti sanno, anche i regni minerale e vegetale non si salvano dalla sua furia devastatrice.
Il tipo umano incarnato da questa genìa (Kremmerz parla in proposito di ”genìe infernali umanizzate”) si distingue dunque per avere abdicato al ruolo di homo sapiens (che dovrebbe spingerlo ad essere il benevolo tutore della Natura) preferendogli quello bestiale di ”animale al vertice della catena alimentare”, ossia colui che mangia tutti gli animali e non è mangiato da alcuno di essi.
Lo vediamo all’opera osservando con quanta brutalità soddisfa, non dico i suoi bisogni vitali, perché ormai almeno in Occidente di fame non muore più nessuno, ma i suoi smodati piaceri alimentari. E così le aragoste vengono bollite vive, le oche ingrassate a forza, i polli allevati in batteria, gli agnelli sgozzati in massa, ecc. ecc. Cose che tutti sanno, senza tuttavia osare di accusarne la imperdonabile nefandezza che, malgrado il tanto strombazzato evoluzionismo, colloca l’uomo “civilizzato” allo stesso livello degli aborigeni australiani, che scavano nelle buche delle talpe e ne trasferiscono direttamente le abitatrici ad arrostire sul fuoco.
Si prenda ad esempio la tristissima sorte di un animale del quale nessuno prende le difese, il maiale. I cristiani di animo sensibile sono pronti a sdegnarsi per le stragi di agnelli perpetrate dai musulmani in una loro importante festa religiosa, salvo poi fare lo stesso in occasione della santa Pasqua. Inoltre questi sensibili cristiani sono gli stessi che non spendono una parola in difesa del maiale, un animale vittima di crudeli ecatombi planetarie, che musulmani ed ebrei fanno bene ad escludere dalla loro alimentazione e spiego subito perché.
Il maiale viene da questi monoteisti giustamente considerato un animale impuro e quindi escluso dall’alimentazione. Me ne sono convinto anch’io vedendo un documentario girato in un grande allevamento cinese di maiali, nel quale un gruppo di esperti si occupava di selezionare i soggetti maschi da riproduzione, assicurandosi che il loro liquido seminale fosse della migliore qualità, cosa che richiede accurati controlli. All’uopo venivano esibite a questi soggetti riproduttori delle finte scrofe con finti genitali opportunamente spalmati di ormoni, sulle quali si precipitavano i maschi infoiati, dando modo agli addetti di raccogliere il prezioso (economicamente parlando) seme, per i necessari controlli.
Tutti sanno che un porcile, per quanto ben tenuto, non è precisamente un luogo nel quale sia piacevole trattenersi, ma quello che facevano i maiali cinesi alla presenza delle finte scrofe era francamente ributtante e tale da non invogliare a mangiare nemmeno un boccone della loro carne.
Puntata la femmina, questi maschi emettevano, per la foia, un’abbondante e disgustosa schiuma dal grugno, componendo un quadretto davvero eloquente e repellente. Donde l’interrogativo: è bene introdurre nell’organismo umano una carne che trasmette un tal genere di messaggi nauseabondi? Oppure non sbagliano gli Ebrei ed i Musulmani nel rifiutarla, giudicando, anche senza dirlo, maiali anche coloro che se ne cibano?
Non è questo l’unico aspetto scandaloso della questione. In realtà i maiali, per quanto indubbiamente
ripugnanti, sono animali sensibili ed intelligenti che hanno diritto di trascorrere le loro vite, già per loro conto grame, senza essere soggetti ad elettrocuzione, squartamento, sgozzamento, bollitura, spellatura, ecc. (ricordo in proposito un impressionante articolo della famosa giornalista Camilla Cederna, reduce dalla visita ad un mattatoio di suini), eventi atroci di cui i maiali si mostrano in anticipo consapevoli, innalzando disperati lamenti mentre vengono avviati al macello.
Uomo, stai attento: chi ti da il diritto di tiranneggiare crudelmente il resto del genere vivente, al quale tu pure appartieni? L’Aldilà nel buddhismo lamaista è rappresentato da una ruota all’interno della quale gli esseri migrano, occupandone di volta in volta le diverse sezioni. E’ la ruota del samsara, dell’eterno insensato divenire.Una di queste sezioni riguarda il mondo animale, che appartiene ad uno degli universi detti “della sofferenza”. Se si prospettasse ad un lama tibetano la dantesca possibilità di una pena per contrappasso, che condannasse i torturatori degli animali, dopo essere precipitati in quell’ universo di dolore, a subire le stesse pene da loro inflitte, il nostro buddhista non avrebbe nulla da obiettare. E’ un tema sul quale forse i monoteisti potrebbero utilmente riflettere, non esclusi gli Ebrei con il loro crudele sistema kosher di macellazione lenta mediante dissanguamento.
Ma lasciamo la religione e limitiamoci al senso di umanità e di giustizia che dovrebbe essere la caratteristica distintiva dell’ homo sapiens. E’ davvero così difficile fare a meno della carne di maiale? A chi non riuscisse a rinunciare a quel sapore, segnalo che sul mercato specializzato si trovano degli ottimi ”insaccati” di soia che imitano in modo soddisfacente il sapore della carne suina. Ma chi non volesse, malgrado ciò, fare a meno pregiudizialmente della carne di porco, farebbe forse bene a meditare sul vecchio adagio che scorge una comunanza di natura con le cose che attraggono. Se così fosse, sarebbe davvero difficile negare almeno una parte di verità al crudo e giudizio implicito in un noto detto francese: tous frères, tous cochons, tutti fratelli e tutti maiali.
Un discorso a parte meriterebbero, se lo spazio a disposizione lo permettesse, le infami stragi di nobili cavalli e di pacifici bovini (come non simpatizzare con il “pio bove” di carducciana memoria o con le mansuete vacche, di fronte alle quali si devia il convulso traffico delle città di fede induista?). Ma ci sono anche bovini non mansueti, che l’uomo ha ritenuto bene allevare per il suo spasso. Parlo delle corride, nelle quali i pur coraggiosi matadores si trovano di fronte, alla fine, tori che sono ormai spossati dagli arpioni dei banderilleros. Recentemente, in questo infuocato agosto, in una cittadina spagnola dove si svolgeva una specie di corrida, il toro ha preso la rincorsa e scavalcando d’un balzo le paratie di sicurezza è piombato sul pubblico, seminando terrore. Questo incolpevole Titano è stato alla fine abbattuto sul posto, suppongo dal mitra di un agente che si è visto accorrere nei pressi. E qui si è verificata una cosa spaventosa. Il toro, trafitto dalle pallottole che gli saranno sembrate piccoli dardi infuocati e reso da esse impotente, come Gulliver legato dai Lillipuziani, ha emesso un muggito tale da far gelare il sangue nelle vene, perché è suonato come un cupo, tragico lamento. Il lamento di dolore e di umiliazione di un Titano già ritenuto, nel mito, degno di essere ucciso onorevolmente in combattimento dal dio Mithra e non da un volgarissimo mitra. Un Titano che è anche il simbolo potente della fertilità maschile della Natura e che si vede condannato da un crudele destino a soffrire e morire per il fatuo divertimento degli slombati popoli del Viagra.
Non posso fare a meno, in chiusura, di dire qualcosa circa la ricorrente proposta di abolizione della caccia, che è la versione nostrana della altrettanto dibattuta questione, in Spagna, del divieto delle corride, peraltro già disposto in Catalogna. Molto bene, mi associo senza riserve ma con un “distinguo” che mi rassicuri circa l’autenticità dell’intento umanitario dei nostri abolizionisti. Pongo quindi come condizione necessaria ,sotto il profilo etico, per valutare la serietà e la coerenza morale di quanti chiedono l’abolizione della caccia, il fatto che essi siano vegetariani e cioè si nutrano esclusivamente con alimenti vegetali o provenienti da animali vivi. Altrimenti è fin troppo facile domandare a questi virtuosi abolizionisti se pensano che le bistecche, le braciole, gli spezzatini, gli ossibuchi, le salsicce ecc., di cui si mostrano così ghiotti, siano piovute del cielo sui loro piatti, senza passare attraverso l’orrore dei macelli. Non si illudano che un cinghiale abbattuto da una fucilata mentre fugge libero in un bosco soffra di più di un maiale torturato dal norcino. Nella nobile schiera dei veri animalisti non c’è posto per gli ipocriti.
PIERO FENILI
(Tratto dalla rivista Elixir con il permesso delle Ed. Rebis)
Riteniamo utile integrare l'articolo di Piero Fenili con il seguente, tratto dal sito animalequality.it:
L'allevamento industriale è uno dei maggiori crimini della storia
Il destino degli animali confinati negli allevamenti intensivi è una delle questioni etiche più urgenti dei nostri tempi. Decine di miliardi di esseri senzienti, ognuno in grado di provare sensazioni ed emozioni complesse, vive e muore su una linea di produzione.
Gli animali sono le principali vittime della storia e il trattamento riservato agli animali cosiddetti “da reddito”, negli allevamenti industriali, è forse il peggior crimine della storia. Il cammino del progresso umano è disseminato di animali morti. Già decine di migliaia di anni fa, i nostri antenati dell'età della pietra furono responsabili di una serie di disastri ecologici. Quando i primi esseri umani raggiunsero l'Australia circa 45.000 anni fa, portarono rapidamente all'estinzione il 90% dei grandi animali. Questo fu il primo impatto significativo che l'Homo Sapiens ebbe sull'ecosistema del pianeta. E non fu l'ultimo.
Il cammino del progresso umano è disseminato di animali morti. Foto: John Eveson/Rex
Circa 15.000 anni fa, gli esseri umani hanno colonizzato l'America, spazzando via anche qui circa il 75% dei grandi mammiferi. Numerose altre specie sono scomparse dall'Africa, dall'Eurasia e dalla miriade di isole intorno alle loro coste. La documentazione archeologica di ogni Paese racconta la stessa triste storia. La tragedia ha inizio con una scena che mostra una popolazione ricca e variegata di grandi animali, senza alcuna traccia di Homo Sapiens. In seguito appaiono gli esseri umani, come dimostrato dal ritrovamento di un osso fossile, una punta di lancia o i resti di un falò. La storia continua con sempre maggior numero di uomini e donne che occupano il centro della scena e gli animali più grandi, oltre a molti di quelli più piccoli, ormai estinti. Complessivamente, il sapiens ha spinto all'estinzione circa il 50% di tutti i grandi mammiferi terrestri del pianeta prima ancora di aver seminato il primo campo di grano, creato il primo strumento di metallo, scritto il primo testo o fuso la prima moneta.
Un altro importante punto di svolta nelle relazioni uomo-animale è stata la rivoluzione agricola: il processo attraverso il quale siamo diventati da nomadi cacciatori – raccoglitori ad agricoltori che vivevano in insediamenti permanenti. Questo ha creato una nuova forma di vita sulla Terra: gli animali domestici. Da un primo esame potrebbe apparire che questo tipo di sviluppo non sia stato così incisivo, visto che gli esseri umani sono riusciti ad addomesticare soltanto meno di 20 specie di mammiferi e uccelli, in confronto alle innumerevoli migliaia di specie che sono rimaste "selvatiche".
Eppure, con il passare dei secoli, questa organizzazione sociale è diventata la norma. Oggi, oltre il 90% di tutti i grandi animali sono addomesticati (per "grandi" si intendono gli animali che pesano almeno un paio di chilogrammi).
Si consideri il pollo, ad esempio. Diecimila anni fa, era un uccello raro che viveva in piccole zone dell'Asia meridionale. Oggi, miliardi di polli vivono in quasi tutti i continenti e le isole. Il pollo domestico è probabilmente l'uccello più diffuso nella storia del pianeta Terra. Se si misura il successo in termini di numeri, polli, mucche e maiali sono gli animali di maggior successo di sempre.
Ahimè, queste specie pagano per questo successo collettivo una sofferenza individuale senza precedenti. Il regno animale ha conosciuto molti tipi di dolore e miseria per milioni di anni. Ma l'allevamento industriale ha portato con sé dei tipi di sofferenza completamente nuovi, sofferenza che è sempre aumentata con il passare delle generazioni.
A prima vista, potrebbe sembrare che gli animali addomesticati vivano meglio rispetto ai loro cugini o antenati selvatici. I bufali selvatici passano le giornate alla ricerca di cibo, acqua e riparo e sono costantemente minacciati da leoni, parassiti, inondazioni e siccità. I bovini addomesticati, al contrario, godono di cura e protezione da parte degli esseri umani. Delle persone forniscono a vacche e vitelli cibo, acqua e riparo, trattano le loro malattie e li proteggono dai predatori e dai disastri naturali. È vero, la maggior parte delle vacche e dei vitelli, prima o poi finisce al macello. Il loro destino è peggiore di quello dei bufali selvatici? E' meglio essere divorati da un leone che macellati da un umano? I denti del coccodrillo sono più gentili delle lame di acciaio?
Ciò che rende l'esistenza degli animali da allevamento domestici particolarmente crudele, non è solo il modo in cui muoiono, ma soprattutto le condizioni in cui vivono. Due fattori concorrenti hanno plasmato queste condizioni: da un lato, gli esseri umani vogliono carne, latte, uova, pelle e divertimento; dall'altro, gli esseri umani devono garantire la sopravvivenza a lungo termine e la riproduzione degli animali da allevamento. Teoricamente, questo dovrebbe proteggere gli animali dalla crudeltà estrema. Se un contadino munge la sua mucca senza fornirle cibo e acqua, la produzione di latte diminuirà e la mucca morirà in breve tempo. Ma purtroppo gli esseri umani possono causare enormi sofferenze agli animali da allevamento in altri modi, anche garantendone la sopravvivenza e la riproduzione. La radice del problema è che gli animali da allevamento hanno ereditato dai loro antenati selvatici molti bisogni fisici, emotivi e sociali che sono ritenuti privi di importanza nelle aziende. Gli agricoltori abitualmente ignorano queste esigenze senza pagare alcun prezzo economico. Si bloccano gli animali in gabbie minuscole, si mutilano loro corna e code, le madri vengono separate dalla prole e le razze vengono selezionate in maniera mostruosa. Gli animali quindi soffrono enormemente, nonostante vivano e si moltiplichino.
In questo modo non si contraddicono i principi basilari dell'evoluzione darwiniana? La teoria dell'evoluzione sostiene che tutti gli istinti e le necessità si sono evoluti nell'interesse della sopravvivenza e della riproduzione. Se è così, la riproduzione continua degli animali da allevamento dimostra che tutte le loro reali esigenze sono quindi soddisfatte? Come può una mucca avere un "bisogno" che in realtà non è essenziale per la sopravvivenza e la riproduzione?
“Per sopravvivere e riprodursi, il bestiame selvatico doveva comunicare, collaborare e competere efficacemente”
E' certamente vero che gli istinti e le necessità si sono modificati per soddisfare le pressioni evolutive di sopravvivenza e riproduzione. Quando queste pressioni scompaiono, tuttavia, gli istinti e le necessità che questi animali avevano sviluppato non evaporano all'istante. Anche se non sono più strumentali per la sopravvivenza e la riproduzione, continuano a plasmare le esperienze soggettive dell'animale. I bisogni fisici, emotivi e sociali attuali di mucche, cani ed esseri umani non rispondono alle loro esigenze attuali, ma piuttosto alle modifiche evolutive che i loro antenati hanno sviluppato decine di migliaia di anni fa.
Perché oggi gli esseri umani amano così tanto i dolci? Nel 21° secolo non abbiamo bisogno di gelati e cioccolato per sopravvivere. In realtà è perché i nostri antenati dell'età della pietra si sono imbattuti in dolci frutti maturi e la cosa più sensata da fare era di mangiarne quanti più potevano, il più rapidamente possibile. Perché i giovani guidano incautamente, hanno atteggiamenti aggressivi o si divertono ad hackerare siti internet riservati? Perché obbediscono ad antiche esigenze genetiche. Settantamila anni fa, un giovane cacciatore rischiò la vita per cacciare un mammut facendo eclissare tutti i suoi concorrenti, vincendo la palma del più forte e ora siamo bloccati nei suoi geni da macho.
La stessa logica evolutiva plasma la vita di vacche e vitelli nei nostri allevamenti industriali. Gli antichi bovini selvatici erano animali sociali. Per sopravvivere e riprodursi, avevano bisogno di comunicare, cooperare e competere efficacemente. Come tutti i mammiferi sociali, i bovini selvatici apprendevano le necessarie competenze sociali attraverso il gioco. Cuccioli, gattini, vitellini e bambini amano giocare perché l'evoluzione ha impiantato in loro questo desiderio. In natura, avevano bisogno di giocare. Se non lo avessero fatto non avrebbero appreso le tecniche di sopravvivenza e di riproduzione. Se un gattino o vitello nasceva con qualche rara mutazione che li rendeva indifferenti al gioco, erano a rischio di sopravvivenza o di riproduzione, così come neanche i loro antenati sarebbero esistiti se non avessero acquisito tali competenze. Allo stesso modo, l'evoluzione ha trasmesso nei cuccioli, gattini, vitelli e bambini un impellente desiderio di legame con le loro madri. Una mutazione che indeboliva il legame madre-figlio sarebbe stata una condanna a morte.
Cosa succede quando ora gli allevatori prendono un giovane vitello, lo separano dalla madre, lo mettono in una piccola gabbia, lo vaccinano contro varie malattie, gli forniscono cibo e acqua e poi, quando è abbastanza grande e se femmina, la inseminano artificialmente con lo sperma di un toro? Dal punto di vista oggettivo, questo vitello non ha più bisogno né del legame materno né di compagni di gioco al fine di sopravvivere e riprodursi. Tutti i suoi bisogni sono soddisfatti dai suoi padroni umani. Ma da un punto di vista soggettivo, il vitello sente ancora un forte bisogno di stare con la madre e di giocare con altri vitelli. Se queste pulsioni non vengono soddisfatte, il vitello soffre molto.
L'abuso sugli animali non si fermerà fino a quando non smetteremo di mangiare carne
- Peter Singer
Questa è la lezione fondamentale della psicologia evolutiva: un bisogno cresciuto in migliaia di generazioni, continua a farsi sentire soggettivamente anche se non è più necessario per la sopravvivenza e la riproduzione nel presente. Tragicamente, l'allevamento industriale ha dato all'uomo il potere di garantire la sopravvivenza e la riproduzione degli animali domestici, ignorando i loro bisogni soggettivi. Di conseguenza, gli animali domestici sono collettivamente gli animali di maggior successo al mondo ma allo stesso tempo sono individualmente gli animali più sfortunati che siano mai esistiti.
La situazione è peggiorata molto nel corso degli ultimi secoli, durante i quali l'allevamento tradizionale ha lasciato il posto all'allevamento industriale. Nelle società antiche, come l'antico Egitto, l'impero romano o la Cina medievale, l'uomo aveva una comprensione molto parziale di biochimica, genetica, zoologia ed epidemiologia. Di conseguenza, il suo potere manipolativo era limitato. Nei villaggi medievali, i polli correvano liberi tra le case, beccavano semi e vermi dal mucchio di spazzatura e costruivano nidi nel fienile. Se un allevatore ambizioso avesse cercato di bloccare 1.000 polli all'interno di un capannone affollato, una micidiale epidemia di influenza aviaria avrebbe probabilmente ucciso tutti i polli e anche la maggior parte degli abitanti del villaggio. Nessun sacerdote, sciamano o stregone avrebbe potuto impedirlo. Ma una volta che la scienza moderna ha decifrato i segreti di uccelli, virus e scoperto gli antibiotici, gli esseri umani hanno potuto iniziare a sottoporre gli animali a condizioni di vita sempre più estreme. Con l'aiuto di vaccinazioni, farmaci, ormoni, pesticidi, impianti di condizionamento centralizzati e alimentatori automatici, è ora possibile stipare decine di migliaia di polli in capannoni e gabbie ed avere una produzione di carni e uova con un'efficienza senza precedenti.
La scienza ha dimostrato che gli animali sono esseri senzienti che provano dolore e soffrono di solitudine.
Il destino degli animali in tali impianti industriali è diventato una delle questioni etiche più urgenti del nostro tempo, certamente in termini di numero di individui coinvolti. Oggi, la maggior parte dei grandi animali vive negli allevamenti industriali. Noi immaginiamo che il nostro pianeta sia popolato da leoni, elefanti, balene e pinguini. Questo può sembrar vero sul canale Tv del National Geographic, nei film Disney e nelle favole per bambini, ma non è così nel mondo reale. Nel mondo ci sono 40.000 leoni ma, per contrasto, circa 1 miliardo di suini domestici; 500.000 elefanti e 1,5 miliardi di mucche da allevamento; 50 milioni di pinguini e 20 miliardi di polli.
Nel 2009, si è avuta la presenza di circa 1,6 miliardi di uccelli selvatici in Europa, contando tutte le specie insieme. Nello stesso anno, l'industria europea della carne e delle uova ha allevato 1,9 miliardi di polli. Complessivamente, gli animali allevati nel mondo pesano circa 700 milioni di tonnellate, rispetto ai 300 milioni di tonnellate di esseri umani e meno di 100 milioni di tonnellate di grandi animali selvatici.
Questo è il motivo per cui il destino degli animali da allevamento è un grande problema etico. Parliamo della maggior parte delle creature della Terra: decine di miliardi di esseri senzienti, ognuno con un mondo complesso di sensazioni ed emozioni, ma che vive e muore su una linea di produzione industriale. Quarant'anni fa, il filosofo morale Peter Singer ha pubblicato il suo libro “Animal Liberation”, un testo che ha instaurato un grande cambiamento nel pensiero di molte persone su questo tema. Singer ha sostenuto che l'allevamento industriale è responsabile di più dolore e miseria di tutte le guerre della storia messe insieme.
Lo studio scientifico degli animali ha avuto un ruolo triste in questa tragedia. La comunità scientifica ha utilizzato la sua crescente conoscenza degli animali, principalmente per manipolare in modo più efficiente le loro vite al servizio dell'industria umana. Eppure questa stessa conoscenza ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che gli animali da allevamento sono esseri senzienti, con relazioni sociali complesse e sofisticati modelli psicologici. Essi possono non essere intelligenti come noi, ma certamente conoscono il dolore, la paura e la solitudine. Anche loro possono soffrire e anche loro possono essere felici.
E' giunto il momento di prendere a cuore queste scoperte scientifiche, perché tanto quanto cresce il nostro potere come essere umani, tanto più cresce la nostra capacità di danneggiare o creare un beneficio per gli animali.
Per 4 miliardi di anni, la vita sulla Terra è stata governata dalla selezione naturale. Ora è governata da un sempre più intelligente disegno umano.
La biotecnologia, la nanotecnologia e l'intelligenza artificiale consentiranno presto agli esseri umani di rimodellare tutti gli esseri viventi in modi nuovi e radicali, che ridefiniranno il senso stesso della vita. Se arriviamo a progettare questo nuovo mondo, dobbiamo prendere però in considerazione il benessere di tutti gli esseri senzienti e non solo quello dell'Homo sapiens.
Fonte:
Articolo apparso sul The Guardian a cura di Yuval Noah Harar, storico dello sviluppo dell'Homo sapiens e autore di “A Brief History of Humankind”.