Bisogna essere grati all’Autrice dell’opera Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico (Mediterranee, Roma, 2010), Anna Partini, per averci fornito, con questo libro, una visione complessiva ed unitaria dell’ambiente esoterico della Roma seicentesca, facente capo, più o meno direttamente ed esplicitamente, all’augusta figura di Cristina di Svezia, la straordinaria regina che si convertì al cattolicesimo e che, sollevata dalle pesanti cure del governo, poté brillare liberamente nel dominio delle scienze e delle arti.
L’Autrice provvede, mediante una capillare documentazione attinta presso vari archivi e biblioteche d’Italia e d’Europa, a porre in luce, oltre la multiforme varietà degli interessi culturali della regina, la centralità che le discipline esoteriche e segnatamente l’alchimia, occupavano tra di essi. L’Autrice informa esplicitamente che oggetto delle sue indagini è stata soprattutto la “Roma del periodo Barocco, vista soprattutto dal punto di vista alchemico”, ed aggiunge: ”Centro catalizzatore attorno a cui ruotano i miei studi sono la regina Cristina di Svezia e due poeti alchimisti della sua corte, il marchese M. Palombara e il marchese F. M. Santinelli (p.15).
La presenza in quest’opera di un centro catalizzatore costituito dalla comune passione per l’alchimia della Regina e di due poeti alchimisti della sua corte, mi invoglia a spostare la mia attenzione su di un altro aspetto di quell’ambiente iniziatico, quello della poesia d’Amore, che ci rimanda ai noti Fedeli d’Amore del Medioevo. Come vedremo più oltre, il ventaglio dei protagonisti di questa fascinosa storia si allarga se dal dominio strettamente alchimico si passa a quello dell’Amor cortese, non solo, ma a quello che in termini più strettamente magici divenne noto come piromagia, oggetto esplicito dell’insegnamento di Giuliano Kremmerz. Attingerò dunque da questo maestro i lumi che possano guidarci alla scoperta degli arcani risvolti contenuti nella suggestiva ricostruzione, effettuata dall’Autrice, di un’ ambiente iniziatico ed aristocratico finora poco noto nella sua interezza e forse non ancora compreso ella sua importanza.
Come è noto, la dottrina del Kremmerz, della quale la Partini si mostra pienamente al corrente, avendole dedicato un intero paragrafo del suo libro (pp.127-130), si intreccia strettamente con il messaggio trasmesso da quel seicentesco milieu iniziatico romano e da esso affidato visibilmente al misterioso monumento noto come Porta ermetica o magica, la quale si apriva sul giardino della villa del marchese Palombara e poi, fortunosamente e fortunatamente, giunta fino a noi.
Ho già spiegato altrove (La chiave della porta ermetica, in Elixir nr.3) perché non mi convince l’interpretazione fornita dal Kremmerz dei simboli e delle iscrizioni incisi su quella porta (i primi riguarderebbero l’iniziatura eonica o d’Amore ed i secondi la Magia trasmutatoria). Del resto la stessa Autrice documenta l’origine dei simboli, ricordando che risalgono all‘alchimista (che per me, se tale , è necessariamente un operatore di laboratorio) Johann de Monte-Snyder (p.121), mentre alla stessa dimensione operativa appartengono necessariamente le iscrizioni che ad essi si accompagnano, se giustamente intese come descrizioni di processi di trasformazione indotti dall’alchimista.
Ma questo non inficia l’interpretazione del Kremmerz, che si avvaleva del linguaggio e del simbolismo alchimico come di un flessibile codice di segni atto a trasmettere quanto il suo Intelletto rischiarato “vedeva” al di là delle costrizioni di un qualsivoglia rigido lessico di significati. Non occorrerebbe che aggiungessi che si tratta di un gioco sottile che soltanto un autentico Maestro può concedersi.
A quanto sopra deve aggiungersi che sicuramente alitava intorno alla Porta Magica, e non poteva sfuggire all’intelletto ermetico del Kremmerz, oltre ad un complesso di idee alchimiche, un altro ordine di idee iniziatiche, che con ogni probabilità circolavano nel cenacolo alchimico di Cristina di Svezia, prima ancora che venissero raccolte nell’opera La Chiave del Gabinetto del Cavagliere Giuseppe Francesco Borri Milanese, Colonia(?) 1681, ripubblicata nella rivista ”Commentarium” di Giuliano Kremmerz, con il titolo di ”Due lettere di G.F.Borri sul commercio cabalistico col mondo elementare”(Roma, num. 2, 10 agosto 1910 e segg.).
Ma anche dalla tematica di fondo di queste lettere, ovvero il matrimonio dell’uomo con gli spiriti degli elementi (Silfidi, Salamandre, Ondine, ecc.), che dona a loro l’immortalità di cui sono privi, il Kremmerz si allontanaperché, nella sua visione, i protagonisti della piromagia (magia del fuoco magico d’Amore) non sono un essere umano ed uno spirito elementare, bensì un uomo ed una donna
avvinti entrambi da un amore non volgare; anche se, come esito dell’Iniziatura sembra in Kremmerz riaffacciarsi, con il Sigillo di Salomone (Op.Omnia, vol.II, p.332), il tema del matrimonio con gli Spiriti degli Elementi. Comunque il Kremmerz si affretta ad enfatizzare e richiamare l’inizio esclusivamente ed aristocraticamente umano di questo percorso: ”Tutti gli amori raffinati hanno istanti di magia amorosa”(Ivi, p,327). Questo requisito risulterà ampiamente soddisfatto dalle tre aristocratiche coppie di amanti, protagoniste del libro della Partini. Fin dove possano spingersi le virtualità iniziatiche dei loro amori costituisce una domanda destinata a rimanere senza risposta.
Comincio, per motivi di rango, con la coppia che può dirsi ”regale”, composta da Cristina di Svezia e dal Cardinale Decio Azzolino, anche se la regalità spettava in senso stretto soltanto a Cristina. Ma Azzolino, Principe della Chiesa, fu sempre all’altezza della sovrana, sia per nobiltà d’animo che per interessi iniziatici. Non si dimentichi che, come ci ricorda il Kremmerz,”L’infiltrazione di questa iniziatura si estende e circola nelle corti di principi e prelati” (Ivi, p. 331. Corsivo mio).
I documenti che ci sono rimasti mostrano come tra loro si fosse acceso un amore non soltanto umano, bensì una vera e propria iniziazione alla magia del fuoco divino (piromagia). Cristina condivide le riflessioni di Azzolino sul senso del loro incontro: ”(…) vi è qualcosa di ammirabile in tutte le circostanze di questa avventura, che io ammetto che non vorrei per tutto l’oro del mondo che non fosse accaduta. La prendo come un oracolo del cielo che spiega il nostro destino e per me vi consento con tutto il cuore”(p.61). La Partini nota esattamente che la regina fa risalire un grande amore ad una origine soprannaturale: ”Vi è una stella che unisce le anime di primo ordine, malgrado i luoghi e i secoli che li separano”(ivi). Frase che il Kremmerz avrebbe sottoscritto.
Che altro ci si potrebbe attendere da una donna veramente regale, che da giovanissima creò l’Ordine dell’Amaranto, espressione del suo cuore acceso, recante due “A” intrecciate che forse alludono al mistero del sigillo di Salomone?
Come corrispondeva l’Azzolino a questo amore? La risposta ci viene fornita da un suo componimento poetico dedicato alla regina secondo l’uso cortigiano dell’epoca, che trascrivo in parte e che non riesce tuttavia a mascherare dietro l’artificio retorico la realtà della piromagia, che incendia anche il nostro Cardinale:
Forse avverrà che il Divin foco, ond’ardi,
Fiamme aggiunga al mio foco, ali al desio
Tal ch’io le sfere a sormontar non tardi.
Proseguo il mio discorso introducendo un’altra coppia, costituita dal celeberrimo alchimista marchese Massimiliano Savelli Palombara ed una misteriosa e mai svelata dama. Egli condivise con Cristina un profondo interesse per l’alchimia ed a lui si debbono, tra l’altro, per quanto se ne può sapere, le fatidiche e bellissime sentenze che accompagnano sulla Porta ermetica i simboli dell’Opera.
Ma rimanendo nel tema prescelto della piromagia o comunque magia dei Fedeli d’Amore, non posso seguire la Partini laddove afferma che la misteriosa N.N. è una donna simbolica (p.109). Mi sembra evidente la volontà del Palombara di occultare, per motivi facilmente intuibili, l’identità della donna, che altrimenti sarebbe stata esposta alle maldicenze del volgo, essendo lui due volte sposato e padre di una numerosa prole. A me pare poco intonato alla contemplazione di una donna simbolica e quindi metafisica, rivolgersi a lei dicendole:…”Sei fuoco che purifichi quanto trovi d’impuro)…(p.109), ove quel fuoco sembra essere quello della piromagia.
Concludo con la terza delle coppie di Amanti che si incontrano nel libro e che, malgrado la dimensione decisamente più terrena del loro amore, che vogliono sia coronato dal matrimonio, conserva un’impronta cavalleresca e poetica ben consona alla natura del suo protagonista maschile, Francesco Maria Santinelli, assunto nel seguito di Cristina di Svezia per “le sue doti cavalleresche e letterarie”(p.175).
Tradizionalmente le esperienze più alte della magia cortese erano riservate ai Trovatori, ai quali era inibita, per motivi di inferiorità sociale, la vicinanza alla Dama da essi cantata, destinata spesso in sposa ad un feudatario. In tal modo il loro amore era costretto a trasfigurarsi in una dimensione poetica ed ideale. Anche il marchese Santinelli corse il rischio di vedersi inibito il suo affetto per motivi di rango. Egli infatti si innamorò, venendo corrisposto, della duchessa Anna Maria Aldobrandini, un amore ostacolato dai parenti di lei “che non ammettevano che la nipote di un papa sposasse un gentiluomo di provincia”(p.184). Per contrastare l’amore della duchessa costei, per ordine del papa Alessandro VII, venne rinchiusa dapprima nel monastero di S.Silvestro e poi nel cupo carcere di Castel S. Angelo. Quando alfine venne liberata, venne a prelevarla sua madre che la condusse a Napoli, tenendola strettamente sorvegliata. Ma nessuno poteva piegare la volontà della Aldobrandini e del Santinelli che finirono con lo sposarsi, non senza una punta di compiacimento da parte della regina Cristina, che aveva sempre simpatizzato per costei.
Il suo amore ostacolato eccitò il talento poetico del Santinelli al quale, come un antico Fedele d’Amore, si deve questa bella composizione, scritta quando la sua promessa sposa era rinchiusa in Castel S. Angelo:
Fummo divisi
Io seco col pensier n’andai in prigione
Lei meco col pensier libera venne.
Parole eloquenti, specie se ripercorriamo quanto il Kremmerz ha scritto sull’iniziatura d’Amore.
Con queste brevi note ho voluto soltanto porre l’accento su di una particolare dimensione iniziatica che accomuna i principali personaggi del bel libro della Partini, non solo quali alchimisti ma anche come Fedeli dì Amore. Meriterebbe uno studio a parte l’insospettata, finora, ardente romanologia del marchese Paolombara, a testimoniare una volta di più che il binomio Roma-Amor non è un accostamento di maniera.
All’Autrice vada il plauso per il felice esito della sua fatica di ricercatrice e di interprete, oltre la riconoscenza per avere per prima ricostruito l’immagine unitaria del variegato mondo che gravitava intorno ad una grande Regina, sotto il segno, ed è questa la novità, dell’Arte regale per antonomasia, la divina Alchimia.
PIERO FENILI
(Tratto da ELIXIR n° 9 con il permesso delle Edizioni Rebis)