Quando ero un giovane e gagliardo centurione, rubavo la vita ai miei nemici in battaglia senza riflettere… Il mio braccio doveva solo percuotere, infrangere corpi, divorare il respiro agli uomini che, a loro volta, desideravano divorare il mio. Un giorno, dopo arduo cimento, mi accostai spossato alle rive di un breve ruscello che carezzava con le sue onde sinuose e placide i tronchi di un boschetto di larici e di querce secolari. La fronte mia grondava di fatica e le tempie pulsavano, come se il cranio fosse stato usurpato da un esercito di cavalieri al galoppo sfrenato. Dopo essermi dissetato, immersi le mani nelle dolci acque che mutarono repentinamente il loro colore da verde smeraldo in cremisi. Chiusi gli occhi e lasciai che le esistenze di coloro che avevo ucciso fluissero a valle, trasportate dalla corrente verso il regno delle ombre.
Mentre ero immerso nei miei pensieri, un improvviso sciabordare di onde mi fece spalancare le palpebre ed alla vista mia apparvero miriadi di farfalle dalle ali variopinte.
Esse presero a posarsi delicatamente sul mio corpo esausto ed in quel momento mi tornò alla mente la profezia che ottenni, sette anni prima, dal gran sacerdote del tempio di Sak: Non più porte varcherai con il gladio nella destra, ma vestito di ghirlande d’ali bacerai la terra prima di varcare gli Elisi. Questo è il tuo destino.
Mentre queste parole vibravano nella mia mente come un’armonia evocata dalle corde di una cetra, l’aria divenne bruna ed un vento impetuoso si levò fiero da Occidente. Le onde del ruscello intorbidarono, disegnando vitree foglie d’acqua ed i volti silenti che adornavano la mia corazza parvero assumere uno sguardo corrucciato e greve. Mi voltai repentinamente e scorsi un uomo straordinariamente alto e vigoroso che si era chinato per abbeverarsi alla fonte ancor grondante di umori di vita. Il suo corpo era nudo e di un rosso talmente intenso e vivo, da conferire alla di lui carnagione un insolito timbro olivastro. La sua spada era inguainata in un fodero d’oro massiccio e lo scudo che aveva appeso ad un albero dall’ampio tronco, risplendeva di una luce sinistra ed inquieta. In lui non riuscii tuttavia a scorgere alcuno dei compagni che componevano la mia legione. Vi era nel suo aspetto qualcosa di spaventevole… di inumano e primordiale, capace di suscitare in me una sorta di meraviglioso turbamento.
I suoi lunghi capelli erano di un nero translucido ed ondeggiante, quasi fossero le ali di un corvo; gli occhi scintillavano, pur essendo inanellati in iridi tenebrosi ed il suo cipiglio appariva come un pugnale acuminato, capace di ferirmi ad un solo incrociare di sguardi. Per nulla sorpreso di vedermi seduto sul greto del ruscello circondato dalle piccole creature alate, egli mi venne vicino e, giuntomi di fronte, fece cenno di levarmi in piedi. «Non comprendi?» Egli mi disse senza proferire parola, come se la sua voce fosse scaturita dal profondo della mia anima, anziché dalla di lui bocca.
«Non comprendi?» ripetette una seconda ed una terza volta, mentre un tuono lontano indossava la limpida livrea della pioggia.
Improvvisamente, con mia grande sgomento, le farfalle si trasformarono nelle sagome dei nemici che avevo sconfitto nel corso delle mia vita di legionario al soldo dell’Impero. Non vi era ombra di rancore, né di amarezza nei loro occhi. Essi mi apparvero in armi e raggianti, in groppa a lividi destrieri di metallo, impugnando folgori incandescenti. Ed il nume così parlò: «Ciò che hai reciso è risorto, come il seme impiccato fra i gangli della madre Terra rinasce a nuova vita sotto diversa forma, serbante in sé la sostanza sua arcana e primitiva. Rallegrati dunque, poiché ogni volta che la tua spada rapì l’altrui esistenza, fui io a guidare il tuo braccio, scegliendo gli eroi che avrebbero costituito il mio invisibile esercito di Luce.
Questa fu la missione che io ti affidai, figlio mio, quando tua madre Victoria a me ti consacrò, implorandomi di proteggerti. Ed io volli esaudire le preghiere di colei che ti mise al mondo. Ma ricorda, Julianus! Un giorno anche tu varcherai il ponte delle armi, dove sarò ad attenderti per consacrarti alla tua nuova legione. A questa apparterrai, fino a quando la Luce non avrà sbaragliato le Tenebre, nell’estrema battaglia che combatterai sotto le mie insegne di sangue. Solo allora la tua anima sarà libera di varcare le porte degli Elisi, sospinta dal dolce vento dell’Ovest. Ed ora che hai imparato a riconoscermi in ogni respiro, in ogni battito d’ali e in ogni vita che hai strappato, sei libero di ritornare al tuo accampamento, dove ti attendono grandi festeggiamenti per la vittoria sui barbari». Dopo avere così parlato, il Dio imbracciò lo scudo possente e con un cenno invitò i guerrieri-farfalla a seguirlo. La terra tremò come fosse scossa da un violento terremoto e l’esercito degli eroi si dileguò improvvisamente fra le nubi attonite che lambivano il cielo.
JULIANUS
Fraternitatis Mavortis Ultoris
(Tratto da ereticamente.net)