Nell’ambito di ciò che rappresentò negli anni ’20 la compagine esoterica del Gruppo Ur, riteniamo che possano interessare ai lettori di Pagine Filosofali una serie di approfondimenti concernenti quella che era la prassi maieutica dello stesso sodalizio, riferendoci documentalmente a quanto è noto pubblicamente, rispettando con doveroso convincimento quanto è giusto che rimanga nella silente riservatezza.
Il primo di tali approfondimenti concerne ciò che, a parer nostro, è l’asse portante di ogni organizzazione iniziatica in tema di operatività, cioè la propria costituzione in gruppo o catena, secondo regole, istruzioni e pratiche comuni ad un certo numero affiliato di persone, per il raggiungimento di un fine chiaro e prefissato.
Vi sono due monografie di Ur a cui è doveroso fare riferimento. La prima, apparsa nella seconda annata, nel 1928, con il titolo di “Istruzioni di Catena”, non firmata e, pertanto, da considerare espressione concordata dell’intero Gruppo, pone in essere due prospettive irrinunciabili di Ur, che gli consentono una differenzazione assoluta rispetto ad altre catene magiche, che ne costituiscono l’unicità che ancor dopo 90 anni sorprende. Nelle nostre considerazioni prenderemo come riferimento bibliografico essenzialmente la ristampa anastatica dei tre volumi del Gruppo di Ur curata da Massimo Scaligero e pubblicato per le Edizioni Tilopa di Roma.
La prima e speciale prospettiva che emerge con chiarezza e con forza è sulla natura stessa del circuito fluidico che si attivò. A differenza di altre organizzazioni, non si posero le basi di un circuito potenziale in cui una serie di pile umane, di natura essenzialmente lunare, fossero il corredo e l’ausilio di un’irradiazione centrale, di natura essenzialmente solare. Ciò che si palesa negli scritti è molto eloquente. Non si era in presenza di una catena di “Lune” intorno ad un unico “Sole”, quasi a determinare una notevole dipendenza, anche di natura animica e sottile, nei confronti di un designato capo – catena. Si era, altresì, in presenza di un coordinamento di “Soli”, di personalità deste ed attive, che coscientemente armonizzavano la propria potenzialità interiore per la palingenesi interiore e per l’attivazione di un eggregore di riferimento superiore:
“In certe forme di catena, accade che i singoli abbandonino se stessi e che la polarità di maschio e femmina, necessaria nelle operezioni, non sia armonicamente riprodotta in ciascuno…Noi invece diciamo che ognuno deve mantenere distinto e fermo il senso di sé, il controllo, la padronanza, e l’uno e l’altro aspetto della complementarietà ermetica” (1).
Tale è una prospettiva, a nostro avviso, della massima importanza, essendo l’espressione e la traduzione nella prassi di tutti gli enunciati esposti nelle varie monografie, sulla sostanziale differenza tra una dimensione religiosa ed una dimensione magica e, andando ancora più in profondità, tra la semplice magia – naturale e di origine astrologica – e la sfera intensiva e teurgica dell’Alta Magia: il regime del fuoco attivato è assolutamente diverso (2).
Il secondo aspetto dell’Opus Magicum in Ur si esplicita ed è logicamente consequenziale al primo. In un circuito fluidico, la singola individualità rimane tale, padrona di se stessa e presente a se stessa, unicamente se non vi è un decadimento verso un vuoto e sterile cerimonialismo, sostanziandosi la sfera del Rito di quell’attività cosciente che solo una ferrea e costante preparazione ascetica può fornire all’operatore. E’ il punto dolente dello spiritualismo contemporaneo, nelle sue variegate e multiformi espressioni, siano esse di natura religiosa e devozionale siano essere di natura esoterica o pseudo tale. E lo stesso Reghini commentando Agrippa circa la necessaria dignificazione all’Opus Magicum specifica l’essenzialità della materia oggetto di studio e di diretta applicazione:
“La cosa arcana, necessaria e segreta, dice Agrippa (III, 3) a chiunque voglia operare nell’arte della magia, e la quale è il principio, il complemento e la chiave di tutte le operazioni di magia, è la dignificazione dell’uomo a questa così alta virtù e potenza” (3).
Come potrà verificare l’attento lettore che avrà la curiosità di andare a riprendere le monografie a cui ci riferiamo, magicamente le operazioni di catena consistono in tracciamenti e visualizzazioni di segni, simboli e vibrazioni interiori che non avrebbe senso né efficacia alcuna senza un addestramento che possa giornalmente ridestare le necessarie facoltà interiori atte a tali dinamismo sottile. Nelle suddette istruzioni vi si ritrovano tutte le indicazioni di scuola che i diversi protagonisti della compagine esoterica hanno trascritto di proprio pugno o lasciato alla trascrizione di Evola – come nel caso di Leo – Colazza e di Abraxa – Quadrelli – nelle tre annate di pubblicazione. Nel lavoro interiore sul pensiero, sul silenzio, sulla concentrazione, sull’immaginazione le indicazioni di Reghini – Parise, Colazza e Quadrelli – come già ripetuto più volte la centralità di Evola va compresa nell’armonizzazione di tutte tali correnti – hanno simbolicamente conciliato, non teoricamente, ma, per quel che veramente conta, operativamente, gli insegnamenti di Armentano, di Steiner e di Kremmerz, in una sintesi che noi reputiamo rivoluzionaria, nel senso di un ritorno alla dimensione arcaica del Sacro, misterica e teurgica, e che dopo 90 anni ancora è al centro delle serie discussioni degli studiosi e dei praticanti. Le precisazioni di merito sono molto dirette e non fraintendibili:
“Questi esercizi debbono diventare viventi. Se no, è inutile farli…Lo scopo invece è tanto meglio raggiunto, quando la disciplina non costituisca un piano a parte fuori dalle occupazioni abituali, ma riesca ad affermarsi nella trama stessa della vita quotidiana” (4).
La summa di tale percorso, poi, non può che sublimarsi nel riferimento che vi è nel testo alla Pratica dell’Estasi filosofica di Tommaso Campanella (5): in essa vi è molto di più di un semplice riferimento ascetico, in essa vi è il senso dell’intera Opera, nella giusta predisposizione animica, nella comprensione di ciò che si vive, di ciò che si è e di quale orientamento si debba assumere per la voluta trasmutazione. E’ la ricerca della Luce, quale fonte luminosa assolutamente differente da quella percepita fisicamente dalla nostra vista e la sua successiva trasmutazione nel calore interno, quale agente primario della palingenesi.
Nel testo, successivamente, si forniscono vari livelli di istruzioni per la catena, sulla formazione e la composizione del gruppo, sulle posizioni da assumere (molto simili ad alcuni Asana orientali o di derivazione egizia ma anche romano: la posizione del Faraone o del Senatore), sul tracciamento pentagrammatico, simbolo dell’uomo integrato e non animicamente scisso, quale animazione della corrente fluidica, ma anche l’attivazione di particolare facoltà interne, quale “vivificazione di Punti di Vita”, ma anche l’addestramento alla mobilità del corpo sottile. Nulla di ciò è realizzabile se l’addestramento interiore non attua quel ritorno all’origine nella pratica, in cui la cerimonia cessa di sussistere lasciando libero campo al Rito, quale dinamica magicamente intensiva di un agente debitamente preparato, attivamente e coscientemente preparato. Queste sono sinteticamente le Istruzioni, a cui è d’uopo accompagnare ciò che realmente si mise in pratica.
La risultante di suddetta operatività ci viene offerta da una testimonianza, non riportata nelle varie ristampe di Introduzione alla Magia, pubblicata su Krur 1929: ci riferiamo alla relazione del gruppo di Genova (sappiamo anche, con certezza documentale, della partecipazione anche di aderenti alla catena in quel di Sarzana, a Milano, etc…, oltre che ovviamente a Roma) che viene pubblicata col titolo di “Esperienze di Catena” (6). In tale testimonianza, vi si presentano alcune informazioni di assoluto rilievo. Oltre alla composizione del gruppo genovese ed all’osservanza delle istruzioni di cui abbiamo disquisito, si accenna alla visita nel settembre 1928 del direttore del Gruppo di Roma per la vivificazione del collegamento fluidico. Il dibattito su chi sia il personaggio giunto a Genova da Roma è quasi furente, tra chi riduce il Gruppo di Ur ad un’assemblea di semplici articolisti e chi ne fa una spuria cartilagine del ramo pitagorico – massonico di Armentano. Le teorie, come spesso accade, non servono a molto, se vi è l’evidenza delle fonti e delle testimonianze dirette, che irriducibilmente si riconducono al nome di Julius Evola e che caratterizzano l’operatività magistica di Ur in una direzione specifica e di cui la relazione genovese risulta essere l’ennesima conferma. In merito, non ci pare casuale che la direzione del gruppo venne assunta da una personalità che apparteneva “alla catena di Giuliano Kremmerz”.
Nello specifico, l’attuazione dell’Opus Magicum manifestò all’interno del gruppo di Genova tutta una correlata fenomenologia correlata a stati interiori, a sensazioni, a visioni si simboli, di luci e di presenze, che denotavano con rigore il risveglio di quelle facoltà interne a cui il rito e l’ascesi devono sempre mirano, in Ur e non solo:
“Gli stati di Luce al passaggio della corrente nella sede superiore, e calore al suo passaggio in quella inferiore’ sono ora avvertiti in forma ben distinta. Accade anzi che si presentino da sè. Ognuno dei componenti ha imparato questi stati dello spirito, così da poterli riprodurre e utilizzare nella pratica individuale” (7).
Infine, un’altra evidenza è importante sottolineare. Nelle esperienze del gruppo genovese di Ur vi è la certezza documentale di un’azione “magico – psichica” nei confronti di un terzo non suggestionato, ritualizzata, fissata e realizzata con successo, a seguito dell’utilizzo di una forza reale, di un fuoco reale, che è stato alimentato e poi adeguatamente proiettato:
“Noi chiamiamo Catena l’insieme di più elementi riuniti nello stesso scopo, nella stessa finalità, compienti dei riti che menano all’estrinsecazione della maggiore potenzialità delle forze singole, somma di forze riunite trasmettibile, esteriorizzabile fuori della nostra cerchia” (8).
Chi avrà la cura di approfondire i rapporti di Evola con il mondo myriamico, soprattutto nelle sue implicazioni operative, come ha recentemente fatto Gianfranco De Turris nelle ristampe de Il Cammino del Cinabro e nel suo testo, sempre dedicato ad Evola per Mursia, “Un filosofo in guerra”, potrà semplicemente costatare l’evidenza dei fatti, così come appare nelle monografie a cura di Reghini (Pietro Negri), di Parise (Luce) ed ovviamente di Quadrelli (Abraxa) in materia di magia cerimoniale, dovendosi riferire all’aggettivo “cerimoniale” secondo l’uso di Cornelio Agrippa e non secondo il senso involutivo che è stato da noi precedentemente assegnato. In Ur l’addestramento ascetico, come predetto, risulta essere stato la sintesi dei valori esperienziali delle varie scuole esoteriche partecipanti, mentre la dimensione teurgica, si rivolgeva, lapalissianamente, alle istruzioni derivanti dall’ermetismo italico di origine egizio – partenopea così come emerse nell’ambito degli insegnamenti della Fratellanza di Myriam di Giuliano Kremmerz:
“…da considerarsi come la più seria e la più competente fra quante oggi coltivino in Italia gli studi ermetici, nella dottrina e nella prassi” (9).
Note:
1 – Istruzioni di Catena, Ur 1928, Ed. Tilopa, p. 32;
2 – da approfondire in Eireneo Filalete, L’Entrata aperta al Palazzo chiuso del Re, sui diversi regimi dell’Opera, dal capitolo XXIII e seguenti, pubblicati nel volume Opere per le Edizioni Mediterranee di Roma;
3 – Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia, Edizioni Mediterranee, Roma 2008, introduzione a cura di Arturo Reghini, CLIII;
4 – Istruzioni di Catena, op. cit., p. 34-5;
5 – Ivi., p. 37ss;
6 – Krur 1929, Ed, Tilopa, p. 143ss;
7 – Esperienze di Catena, op. cit., p. 145;
8 – Giuliano Kremmerz, prima conferenza presso l’Accademia Pitagora di Bari, 16 Febbraio 1921
9 – Avviamenti alla Magia secondo Giuliano Kremmerz, Krur 1929, Ed. Tilopa, p. 225.
Luca Valentini
( In collaborazione con il sito web www.paginefilosofali.it)