Dopo aver analizzato nella prima parte del nostro scritto quale fosse il reale collegamento che vi era tra gli insegnamenti e le dottrine magiche di Ur rispetto al mondo arcaico della Paganità e nello specifico della sacralità romana, è d’uopo che tale relazione possa essere sviscerata anche in relazione a ciò che si intese rivivificare, dopo il secondo conflitto mondiale, nell’ambito dei sodalizi politici e tradizionali. E’ necessario, però, una doverosa puntualizzazione: i gruppi, le personalità che spesso si associano alla cosiddetta via romana agli Dei non sono stati gli unici veicoli tramite cui una certa visione del mondo si è perpetuata e ciò non necessariamente in ambito connesso con la politica.
Vi sono stati e vi sono strade diversificate che hanno conservato il medesimo riferimento archetipico con approcci similari ma non identici a quelli di cui scriveremo e che possono, per esempio, essere riconducibili al Vate italiano del ‘900, Gabriele D’Annunzio ed alla sua poetica sapienziale. Ma ciò rappresenta solo un accenno ad un discorso che forse svilupperemo in futuro.
Ritornando a ciò che ci siamo prefissi di trattare, è nostra intenzione specificare come nella presente esposizione ci atterremo esclusivamente alle fonti ed alle testimonianze disponibili, senza ipotizzare scenari non dimostrabili, sempre nell’ottica chiarificatrice già assunta nella prima parte del presente saggio. Nello specifico, possiamo riferire che l’interesse per le tematiche legate alla dimensione sapienziale ed arcaica si rimanifestò negli ambienti della destra politica dopo la pubblicazione negli anni ’50 sia del testo evoliano Metafisica del Sesso sia, a cura dello stesso Evola per le Edizioni Bocca, della ristampa organica di tutte le monografie firmate dal Gruppo di Ur, con modifiche, tagli ed aggiunte, di cui si è spesso discusso, ad opera del curatore. Tale processo di rinnovato interesse si accelerò nel corso degli anni ’60 nell’ambito del movimento politico di destra Ordine Nuovo e su ciò una ricca documentazione bibliografica ed una testimonianza diretta ci è offerta nelle pagine della rivista Politica Romana (n. 8 / 2008 – 2009) a firma di Piero Fenili. Alla fine degli anni ’60, infatti, in seno a tale esperienza sorse una compagine tradizionalista che si richiamava all’antico mito guerriero dei Dioscuri, su cui svolgeremo alcune nostre riflessioni. Il Fenili nella rivista citata nell’articolo “All’origine del Caso Dioscuri”, nell’ambito di una particolare prospettiva assunta da tale rinnovato spirito romano, con profonda obiettività ha definito il tutto una “controversa ma non banale vicenda” (p. 29). Tale, a nostro avviso, è l’incipit essenziale per svolgere un approfondimento mirato sui quegli anni, cioè di non concepire la vicenda della via romana contemporanea quale una storia univoca, attraversata da una monolitica adesione spirituale, ma, al contrario, essa fu l’occasione di visioni diverse e contrapposte, di grandi slanci ideali, di grandi personalità, ma anche di cedimenti, di divisioni, di fallimenti. Il primo nucleo di tale sodalizio si ispirò all’esperienza di Ur, senza però aver potuto vantare alcuna continuità e regolarità iniziatica con la catena magica che vide protagonisti Evola, Reghini, Colazza,…Come evidenziato nella nota 1 del medesimo articolo, l’approccio ed il ricollegamento primo ad Ur fu di natura magico – meditativa e non di natura cerimoniale e neopaganeggiante. Lo studioso H.T. Hakl specifica argutamente, infatti, come Evola, in contatto con tale sodalizio fosse aspramente contrario a derive di tale genere, tanto da affermare in un’intervista proprio per il giornale di Ordine Nuovo quanto segue:
“Io ben mi guarderei dal rimandare, oggi, a quanto scrissi nel libro giovanile Imperialismo pagano in una congiuntura tutta particolare. Non incoraggerei nessun volgare anticattolicesimo o <<paganesimo>> dilettantesco“ (A colloquio con Evola, I testi di Ordine Nuovo, Edizioni di Ar, Padova 2001, p. 124).
Il riferimento alla Roma arcaica ed ai suoi Numi tutelari, infatti, erano intesi in senso non religioso ed archeologico, ma in seno ad una maieutica interiore che parzialmente riprendeva le tecniche di Ur. Non casuale risulta essere il riferimento ad una condizione di a-normalità della presente umanità, in cui un certo dettato sapienziale possa essere frainteso o reso mera parodia. Nella tarda Romanità – epoca simile in decadenza civile, morale e spirituale all’attuale -, la sopravvivenza dell’archetipo non poteva che realizzarsi come sempre Evola nel suo ultimo libro ha riportato:
“nella rivalutazione, tentata da Giuliano, dell’antica tradizione sacra romana, è l’idea esoterica della natura degli Dei e della conoscenza di essi che si fa valere. Una tale conoscenza significa realizzazione interiore. In tale prospettiva gli Dei appaiono non come finzioni poetiche o come astrazioni di teologi filosofanti, bensì come simboli e proiezioni di stati trascendenti della coscienza. Così Giuliano, egli stesso iniziato ai Misteri di Mithra, associa strettamente una superiore conoscenza di sé alla via che conduce alla conoscenza degli Dei…Egli ci riporta alla tradizione di una disciplina segreta, grazie alla quale anzitutto preparandosi con una vita di purezza e di ascesi, poi affrontando esperienze speciali determinate dai riti iniziatici, la coscienza di sé è radicalmente trasmutata, nuove potenze e nuovi stati interiori vanno a costituirla: appunto quelli, che l’antica teologia adombrava nella figura simbolica dei vari Numi” (Giuliano Imperatore, Julius Evola in Ricognizioni, Edizioni Mediterranee).
In merito, lo stesso Fenili, in un altro saggio pubblicato sul tema “Il Gruppo dei Dioscuri come tentativo di ripresa dell’esperienza del Gruppo di Ur”, in (Elixir n. 9, Edizioni Rebis, Viareggio 2010, p. 8ss) descrive perfettamente le tecniche utilizzate che erano quasi interamente riconducibili alle istruzioni di catena espresse in Ur 1928, in cui una ritualità ed un’ascesi pitagorica si univano alle meditazioni antroposofiche del pensiero e del Sole di Mezzanotte, oltre ad alcune tecniche interne di natura ermetico – kremmerziana (p. 10). Tutto ciò risulta essere in linea con altre due importanti informazioni contenute nel saggio di Fenili su Elixir. La prima riguarda la scelta della denominazione del sodalizio che “fu dovuta al dottor Placido Procesi, medico di Evola e figura di spicco negli ambienti esoterici romani” e personalità di altissimo rango nell’ambito della Fratellanza Terapeutica di Myriam, fondata da Giuliano Kremmerz (p. 9).
Su tale denominazione un breve inciso va posto. Il mito dei Dioscuri è propriamente ellenico, dal greco Dioskouroi cioè figli di Zeus, e solo successivamente alla battaglia del lago di Regillo, 15 luglio 499 a.c (o 496), assunse una valenza mitica romana, episodio in cui la comparsa dei gemelli nella battaglia fu decisiva per la sconfitta dei Latini alleati dell’etrusco (!) Tarquinio il Superbo nel suo tentativo di riconquistare Roma. A tal proposito, interessante risulta essere l’ipotesi presentata nello stesso articolo di Elixir circa una presunta derivazione dei gemelli dalla fratria degli Eumelidi, la quale risulta essere consacrata presso Piazza Nilo a Napoli al Sole ed a Giove (p.9). Inoltre, una recente pubblicazione della prof.ssa Claudia Santi, “Castor a Roma – un Dio peregrinus nel Foro” (Edizioni Agorà & CO., Lugano 2017), ha ben evidenziato come “dal momento che Castor fu accolto come dio nel sistema religioso di Roma antica nel periodo in cui quest’ultimo si presentava nella sua forma demitizzata, non esiste alcun mito autenticamente romano che lo riguardi…E’ dunque nelle figure dei gemelli Romulus e Remus e di altre coppie gemellari dell’epopea nazionale romana che sarebbero confluiti i motivi mitici del Divine Twins importati dalla Grecia, se mai ve ne furono” (p. 78-9).La seconda informazione contenuta nel saggio di Fenili su Elixir riguarda l’esistenza di ambienti diversificati nell’ambito del medesimo sodalizio, come nel caso di quelli esistenti nella città di Messina, ove tale esperienza venne in contatto con il rinnovato interesse per il pitagorismo di Arturo Reghini ed Amedeo Armentano e con realtà di natura ermetico e myriamica. Da tale milieu esoterico nacque una pubblicazione, sempre citata da Fenili, che alcuni riconducono ad Evola forse in maniera arbitraria, forse conosciuta dallo stesso, cioè “La via romana agli Dei”, in cui la connessione coi Numi di Roma, non si presenta sotto una forma cultuale, ma denota una precisa connotazione ermetica, in perfetta consonanza con le pratiche di catena di Ur precedentemente esposte. L’idea di fondo era quella di una comprensione assolutamente interiore della spiritualità arcaica, dalla quale l’uomo moderno è irrimediabilmente separato da un’involuzione ontologica, che con le pratiche ascetiche si cercava di arrestare e riconvertire. Tale è il nodo gordiano inerente un corretto approccio al Sacro, su cui il testo in questione esprime una chiara e condivisibile decifrazione:
“Ovviamente concepire un contatto con gli dei può essere ostacolato dalla supposizione che l’uomo moderno abbia conservato immutate le facoltà percettive dei suoi Majores. Ciò è un errore. La facoltà immaginativa è, per esempio, al giorno d’oggi una facoltà interamente soggettiva in quanto elabora forme che appartengono al mondo dell’Io, alla mente subconscia, e che quindi non hanno relazione alcuna con la realtà vera“ (La via romana agli Dei, capitolo sugli Dei).
I Numi, pertanto, si rimanifestano esclusivamente se tale capacità immaginativa, se tale stato potenziale dell’Io, vengono ridesti tramite l’ascesi, solo in seguito alla quale è possibile richiamare ritualmente (e non cerimonialmente) il Divino che è nell’uomo e nel mondo, contemporaneamente:
”Senti i Numi risvegliarsi in te. Cosciente di ciò, attendi che il fuoco visibile si spenga, riconducilo in te, nel cuore, e fissa nuovamente tale stato nel silenzio” (La via romana agli Dei, capitolo Del rito II).
Tale prospettiva non fu sola dell’ambiente messinese, ma fu l’orientamento fondante del sodalizio originario dioscureo e le tracce le si ritrovano negli scritti di una personalità che forse assume una valenza esiziale nella vicenda, una valenza quasi mai indagata in profondità. Ci riferiamo agli insegnamenti presenti nel libro “Essere Uomo – autorealizzazione nella condizione umana secondo gli insegnamenti di Julius Evola” a firma di O. de’ Rampazi (Edizioni Settimo Sigillo), in cui la tecnica trasmutativa della Scienza dell’Io assurge ad una via praticabile nella riscoperta di Roma, non come manifestazione religiosa inserita nella storia ed in quanto tale transuente, ma come qualità interna, come dimensione dello spirito. Il primo capitolo della seconda parte del testo è dedicato appunto a Roma e la direttrice di marcia è al quanto evidente:
“E sappi che se per la massa popolare gli Dei pagani erano quello che normalmente si sa e che viene, magari con ironia, insegnato a scuola e purtroppo anche in qualche enciclopedia delle religioni, in realtà i sacerdoti, cioè i saggi, sapevano che si trattava piuttosto di valenze interiori umane le quali, attraverso l’opera magica, prendevano consistenza e producevano effetti reali…Il pagano si rivolge alla divinità non come ad una entità a lui estranea e lontana, ma come l’aspetto disindividualizzato, purificato e sublimato di se stesso” (p. 107ss);
“Anche la religione romana conosceva l’esistenza di un Dio Supremo non manifestato e che pertanto non poteva essere nè pregato, nè tanto meno raffigurato e neppure nominato in alcun modo: tale consapevolezza era ovviamente e giustamente dei soli grandi sacerdoti che lo chiamavano “il Dio Sconosciuto” ed è chiaro quanto tale formulazione esprima” (p. 113).
Nel capitolo finale, dedicato alla Fiamma, quale evocazione, si esplicita tutta la differenza che già aveva evidenziato Plutarco tra cerimonia e rito, tra formalismo religioso ed azione sacrificale di se stessi, permettendo l’unico rito magico possibile, dall’India Vedica, a tutto il mondo indoeuropeo, a Roma, il rito filosofico interiore, così come espresso dagli insegnamenti magistrali di Giandomenico Casalino, tramite cui Vesta si ridesta non solo in un focolare domestico e visibile, ma primariamente nel focolare cardiaco di ogni uomo, risvegliato alla propria coscienza:
“E’ il centro di ogni centro, il simbolo di ogni simbolo, l’essenza di ogni essenza” (p. 150).
La codesta visione del mondo e di azione sacrale la si ritrova anche in alcune espressioni lapalissiane contenute nei 4 fascicoli redatti dallo stesso Gruppo dei Dioscuri, in cui idealmente, solo idealmente ritorna il riferimento di Ur alla Tradizione Primordiale, come da noi espresso nella prima parte di questo approfondimento. :
“Per l’uomo della Tradizione, rivolgersi verso il passato e non verso l’Alto significherebbe voler bere allo stagno, potendo invece bere alla fonte” (fascicolo Rivoluzione Tradizionale e Sovversione).
Non è casuale, infatti, che nel fascicolo più romano dei 4, Phersu – maschera del Nume, non si accenni a riti, a cerimonie, a preghiere, ma a tecniche di realizzazione spirituale, dopo una doverosa critica alle deviazioni del neospiritualismo moderno, nei seguenti termini:
“A che cosa devono mirare dunque inizialmente le tecniche? Fermezza interiore, coerenza nei propositi, distruzione dell’orgoglio che prima di essere grave impedimento è di per sé cosa puerile, equilibrio e quadratura…” (p. 6).
Rispetto a tale indirizzo iniziale e conservato in filiazioni derivanti dal nucleo originario, di cui accenneremo al termine, dopo alcuni anni, nei primi anni ’70, ebbe a realizzarsi un cambiamento di orizzonti, così come riportato da Fenili nel saggio citato su Politica Romana, in un senso decisamente neopagano e cerimoniale, diversificato dal riferimento iniziale ed ideale di Ur, in un senso prettamente cultuale. Il Direttore di Politica Romana, in merito, ha voluto esprimere delle perplessità di non poco conto, inerente un preciso approccio tecnico e spirituale, in cui alcune problematicità determinarono, in seguito, ulteriori lacerazioni insite anche nella stessa filiazione che qualificò un cambio di passo rispetto all’origine. L’espressione del Fenili “Sorvolo sui fenomeni involutivi che caratterizzarono il seguito della vita del Gruppo dei Dioscuri, innescati dal surplus di energia che si era venutasviluppando…” (p. 32 da Politica Romana cit.) sono la sintesi di due problematiche sostanziali, connesse sia alla compattezza della catena (“ogni catena è debole come il più debole dei suoi anelli. E tale può essere anche l’anello apparentemente più forte, se nasconde in sé incrinature che lo predispongono alla rottura”, p. 33), sia alla capacità di ridestare effettivamente e correttamente le forze della Tradizione di Roma: L’intuizione circa l’esistenza di una ieratica Roma ipogea era in parte giusta, come dimostrano gli studi di autori magistrali della Tradizione italica, quali Domenico Bocchini e Giustiniano Lebano, che erano in possesso delle chiavi della conoscenza iniziatica, che sola può proteggere contro ogni contatto con le presenza cattive (larvae), <<aprendo>> soltanto alle presenze luminose e benigne (lares). In genere si può dire che tutte le forme che hanno veramente concluso il loro ciclo esistenziale possono assumer una consistenza larvale se rianimate imprudentemente ed artificiosamente, cosa che invece tentano ancor oggi sconsideratamente di fare alcuni imprudenti anche se volenterosi celebranti neopagani, incuranti del significato della fossa (mundus), che la rende quasi porta degli Dei tristi ed inferi (deorum tristium atque inferum quasi ianua: Varrone in Macr. Sat. I, 16, 18). Una porta che, tranne eccezioni e circostanze rigorosamente previste, deve rimanere ben chiusa“ (p. 33 da Politica Romana cit.). Di tematiche e problematiche simili ce ne accennò anche il Del Ponte nella sua intervista concessa a EreticaMente. Sia chiaro: tali giuste precisazioni hanno valore paradigmatico per qualsivoglia approccio al sacro ed assumono valore irrinunciabile se l’ambito di pertinenza diviene, non più quello devozionale e religioso, ma quello esoterico. Pertanto, le tante congreghe para – iniziatiche non si sentano escluse da siffatti ragionamenti di buon senso, perché la temperanza non è solo una virtù tendente a placare l’esuberanza del fisico, ma anche mirante a conciliare e moderare l’esuberanza dell’ego.
Come predetto, in conclusione, al nucleo originario ed in collegamento con nuclei successivi o continuatori del nucleo originario, alla rivista Mos Maiorum, a Roberto Corbiletto (a cui dedica l’impareggiabile scritto Agnì – Ignis Metafisica del Fuoco Sacro) fu molto vicino l’aurea figura di Pio Filippani Ronconi, grande orientalista, autentico patrizio romano (La Cittadella, quaderni di studi storici e tradizionali romani – italici, anno X, nuova serie, n° 40, MMDCCLXIII a.U.c), antroposofo e discepolo di Massimo Scaligero, secondo il quale il riferimento a Roma non potesse essere inteso se non nel suo senso altamente verticale, spirituale, interiore, sublimando i limiti orizzontali, come l’Impero superò i propri per farsi Mondo:
“quello che conta per noi è quello di ritrovare quel filo occulto che ci permette di collegarci con gli autori della nostra civiltà. Indipendentemente se noi, poi, personalmente siamo Longobardi di origine, o Goti o quello che sia. L’essere romano significa essere una razza spirituale. È un atto dello spirito l’essere romano. Un atto dello spirito che, poi, scendendo nella profondità, ne permea l’anima. Dal nous, dallo spiritus si scende nell’anima e dall’anima foggia anche il corpo” (tratto da una conferenza tenuta presso l’associazione Fons Perennis).
Lasciamo al lettore ogni libera interpretazione, sui contenuti espressi, con la possibilità che qualcuno integri, corregga e riveda quanto da noi esposto. Ci preme, infine, solo evidenziare come l’asse intorno a cui si avvolge sempre la Tradizione è quello dell’Io e tramite esso ogni riferimento che si voglia assumere quale autentica e sincera adesione al Sacro:
“Prendere la Tradizione per la sua trascrizione dogmatica significa escludersi automaticamente dal proprio rapporto vivente con la sua sorgente spirituale. Conoscere quest’ultima soltanto come una serie di dati storici o come un insieme di sentimenti con cui essi vengono evocati, significa sperimentare un mondo di fantasmi, a cui si presta vita sottratta alla coscienza, privi del riferimento spirituale dal quale essi traggono esistenza e significato. L’attuazione dell’archetipo spirituale contro la corrente esistenziale è un fatto di ascesi: senza questa, buoni sentimenti, slanci di cuore, dialettica raffinata eccetera, divengono armi per l’Avversario” (Appunti sull’Arte Regia, concentrazione, meditazione, contemplazione, Alex Von Panphilji – Pio Filippani Ronconi, Mos Maiorum).
(Sentiti ringraziamenti a ereticamente.net per la collaborazione)
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