Religione e Iniziazione, Culto e Rito: i due magisteri del Sacro – Luca Valentini
“Il religioso e il discepolo in magia cercano tutti due la conoscenza del mondo divino,
il primo passivamente mettendo in pratica i precetti religiosi,
il secondo attivamente tentando di forzare la natura umana
ad entrare nel mondo invisibile per scoprire le leggi
e servirsene come padrone per la conquista delle podestà divine…
… La santità si ottiene, la magia si conquista”
(Giuliano Kremmerz, “Il Mondo Secreto”, n°1, gennaio 1898, pag.12-13, nota 2 )
Reputiamo in questa circostanza di notevole importanza ritornare su alcuni argomenti che spesso, nell’ambito del dibattito e degli approfondimenti tradizionalistici, hanno causato non pochi ed effimeri fraintendimenti, non fosse altro che alcune locuzioni dovrebbero essere ormai assunte con una comune ed accettata significazione, ma così purtroppo non è.
La dottrina, così come insegnato dai maggiori pensatori della Sophia Perennis, così le fonti ed i classici delle più diverse forme tradizionali, infatti, sono comunemente concordi in una precisa e non casuale differenziazione dei diversi approcci che l’uomo possa avere con il mondo del sovrasensibile. Alcuni errate commistioni etimologiche e linguistiche, che spesso albergano negli studi pur essenziali degli storici delle religioni, non riteniamo possano essere compresi e tollerati in ambito, come quello degli studi tradizionali, in cui l’erudizione risulta essere importante in vista di una più profonda comprensione simbolica ed intellettiva.
Nello specifico, ci riferiamo alla diffusa e ripetuta confusione di domini, di esatta e correlata terminologia tra differenziate sfere del Sacro, tra ciò che deve giustamente appartenere alla dimensione dogmatico – devozionale della religione e ciò che deve doverosamente essere di esclusiva pertinenza della conoscenza iniziatica. Tale specificazione polare sussiste da due fondamentali del rapporto tra Uomo e Divino, nell’ambito della pratica operativa che vi si attua e nell’ambito microcosmico con cui tale o talaltra assunzione realizzativa si connette. E’, pertanto, d’uopo evidenziare che la prima confusione da redimere è proprio quella tra Culto e Rito, tra una prassi religiosa invocatoria che ricerca fuori da sé il Dio, come ente personificato, il Dio o il Deus, ed una prassi misterico – teurgica di natura essenzialmente evocatorio, in cui il soprasensibile è inteso come Potenza da far risorgere attivamente da se stessi:
“Si può dunque parlare con diritto di una concezione attiva-intensiva del sacro, specificatamente romana… noi sappiamo anche che questi modi di una esperienza mediata e mitologizzata sono inferiori rispetto ad una esperienza diretta e assoluta, cioè senza forme e senza immagini… muta, essenziale” (Ea, Sul <<sacro>> nella Tradizione Romana, Krur 1929).
Il dominio della religiosità può essere inteso a sua volta sotto due prospettive: vi è il senso dato dall’arcaica venerazione, il “kairòs” dei Greci, il giusto tempo, la distanza, oppure il famoso “colere Deos” dei Romani, in cui si innesta il significato etimologico del termine religioso connesso al verbo “relegere” inteso come “raccogliere nuovamente”, come espresso da Cicerone (De natura deorum II, 28), quale rivolgimento verso il Mos Maiorum, la ritrovata sacralità degli Avi; inoltre, vi è il senso attribuito dalle religioni monoteistiche, quello riconnesso all’etimo del verbo latino “religare” ovvero una predisposizione a riallacciarsi ad un Ente, qualunque esso sia, estraneo a sé. L’ambito microcosmico di riferimento che generalmente si definisce spirituale è un ambito che con lo Spirito ha poca pertinenza, avendone invece con l’ambito del piano sottile e psichico, dell’animico, del lunare, scriverebbe un ermetista.
La dottrina metafisica, infatti, fa riferimento ad una simbologia minerale, in cui vi sono tre elementi costitutivi e principali, che sono il fulcro di corretta ermeneutica tradizionale: Mercurio, Zolfo e Sale. Essi sono i tre aspetti della Natura, mediante i quali si sviluppa il Divino nella Manifestazione, secondo la tripartizione dello Yoga Sutra di Patanjali ovvero secondo la tradizionale tripartizione microcosmica: sattva, con una direzione ascendente e solare, corrisponde allo Zolfo, allo Spirito; rajas, con una direzione orizzontale e lunare, corrisponde al Mercurio ed all’Anima; tamas, con una direzione discendente, corrisponde al Sale, al Corpo ed alla Terra:
“I tre gunas debbono trovarsi in ciascuno degli elementi … essi si trovano in proporzioni differenti… stabilendo una sorta di gerarchia, che si può vedere analoga alla gerarchia che, da un punto di vista più esteso, si stabilisce tra i molteplici stati dell’Esistenza Universale” (Renè Guènon, Studi sull’Induismo, Edizioni Libritalia 1997, p. 49).
Differente è l’ambito di riferimento della prassi trasmutoria di natura magistico – misterica. Se il rajas esprime in termini orientali la direzione non solo orizzontale ma anche centrifuga della religiosità – essendo anche simbolicamente la luce lunare null’altro che un riflesso di quella solare –, il sattva esprime la verticalità centripeta e solare dell’autentica spiritualità, quella inerente l’intera misteriosofia mediterranea, gli ambiti più reconditi del sacerdozio romano, l’intera tradizione ermetica d’Occidente e d’Oriente, senza esclusivismi parabolani di sorta. E’ il mondo della vera Iniziazione, quale realizzazione e risveglio di una potestà latente, non come un ingresso in una consorteria, in cui non vi è il riflesso lunare di un Culto, ma vi è l’azione magica di un Rito, non una celebrazione, non un cerimonialismo, ma un’attivazione intensiva di una vibrazione interiore, di un Sole Interiore:
”Tutte le entità… si uniscono ai principi causali originari, le une attraverso la follia amorosa, le altre attraverso l’amore divino per il sapere, le altre ancora attraverso la potenza teurgica, che è superiore ad ogni forma di saggezza e scienza umana…” (Proclo, Teologia Platonica, libro I, 25).
Per suddetti motivi, espressioni come “religioni misteriche” non hanno senso alcuno, per questo non potevano esservi i “fedeli di Mithra”, errato essendo anche l’espressione “culto misterico” riferito alle iniziazione eleusine: ontologicamente ciò che esprime una religiosità non può essere la misura e l’ottica d’interpretazione di una dimensione, quella iniziatica, che dalla medesima ottica si differenzia radicalmente. Nell’ambito della storia delle religioni, “mistico” “iniziatico” “religioso” “magico”… sono diventati quasi dei sinonimi e comprendiamo che ciò avvenga per l’approccio esterno alle tematiche su cui disquisiamo. Non comprensibile è che tali fraintendimenti alberghino nelle menti di coloro che presumono essere punti di riferimento di viatici differenti di adesione, di avvicinamento al Sacro:
”La virtù dinamica dei simboli si oppone dunque in un certo senso ad ogni analisi, ed è strumento e mezzo per pervenire alla sintesi. E come nella conoscenza discorsiva si arriva alla tesi, concettualmente, per via logica, partendo dall’ipotesi, così nell’endogenesi iniziatica si può pervenire alla sintesi, giovandosi delle virtù dinamica dei simboli, per via magica, partendo dalla condizione iniziale umana” (Pietro Negri, Conoscenza del Simbolo, Ur 1927).
Nella sfera del Mistico – ci sarebbe da fare una seria e lunga disamina sulla profonda confusione operata in ambienti cristiani tra piani di realizzazione mistica e piani di realizzazione metafisica, ai quali basterebbe rammentare il Guènon che hanno sempre in bocca oppure il buono e pagano Proclo – ci sono i fedeli, i devoti ed il loro culti; nell’ambito esoterico ci sono iniziati e riti ed ascesi.
Un diverso discorso è, infine, la possibile correlazione tra queste due differenti dimensioni del Sacro. Se la religiosità e l’iniziazione debbano essere correlate nell’ambito di una stessa tradizione, quale ascensione graduale da Luna a Sole, come nelle Metamorfosi di Apuleio, oppure se la seconda possa sussistere indipendentemente dalla prima, sono riflessioni importanti da porsi e su cui interrogarsi. Personalmente, riteniamo che l’esistenza di connessione diversa tra i due ambiti stia semplicemente a testimoniare la non esistenza di un paradigma unico ed irriducibile, il Sacro esprimendosi nei modi più opportuni, anche secondo tempi e circostanze adeguate. Le sterile diatribe secondo cui “per i Romani era così…”, “nell’Islam era così…”, non hanno molta aderenza con la pragmaticità che deve sussistere in un percorso di ascenso individuale. Noi riteniamo, sulla scorta degli insegnamenti di Evola e di Kremmerz e per quella che può valere l’esperienza personale, che la religiosità non sia più un supporto, un ausilio fondamentale al conseguimento di trasfigurazioni ben più verticali di quelle mistiche, ma oggi sia diventato un ostacolo dogmatico alla comprensione ermetica e magico – trasmutatoria. Forse ciò che era in passato il giusto nesso tra exoterismo ed esoterismo esprimeva, allo stato attuale è diventato una sorta di Guardiano della Soglia, una prova sfingetica di realizzazione, in cui il Sapienziale apre le porte del Tempio solo a coloro che comprendono che non esiste alcun Tempio o che il Tempio è vuoto. Nell’era dell’annichilimento mondialista non esistono ancore di salvataggio se non quella rappresentata dal risveglio della propria personalità. Il dogma, per noi, può rappresentare un ulteriore vincolo animico che si aggiunge ai già tanti che il potere sinarchico pone in essere:
“La peggiore sorta di uomini sono coloro che presentano nella veglia le caratteristiche proprie dello stato di sonno” (Platone, Repubblica, 567 B).
Ringraziamo per la collaborazione Erereticamente.net