Sepolte nella polvere dei secoli, occultate e custodite dalle sabbie del tempo, le misteriose e remote civiltà del passato celano un tesoro sapienziale frutto di un antichissimo retaggio e di ancestrali conoscenze. Un sapere primigenio che attende di essere disvelato per mostrare l’aureo volto di culti, simboli e miti solo in apparenza sopiti. Questo corpus dottrinale, disperso e frammentato, e pur tuttavia presente in numerose culture, è giunto fino a noi sotto forma di un immenso mosaico le cui tessere vanno ricomposte e assemblate al fine di ricreare il quadro originario che lo componeva.
Tracce di questa dottrina, le cui radici si diramano per tutto il Pianeta, le ritroviamo in un luogo impervio posto a 4000 metri sul livello dell’oceano, dove incastonato su un altipiano della Cordigliera delle Ande, si estende un lago salato di vaste proporzioni. Si tratta del più alto lago navigabile della Terra: il Titikaka. L’oceanografo francese Jacques Cousteau (1910-1997), lo definì il lago del mistero. Il celebre ricercatore non si sbagliava, il lago è davvero misterioso, non solo per quanto si cela nelle sue acque, ma soprattutto per l’atmosfera che lo pervade di un fascino arcano che sembra promanare dalla natura che lo circonda facendolo pulsare di vita e lo accende con i suoi colori sfolgoranti. Il Titikaka è il lago sacro degli indios delle Ande e la sua sacralità permea e avvolge l’intero sito. Qui, nella notte dei tempi, si officiavano riti segreti collegati con l’immagine del serpente sacro che gli Inca avevano fabbricato e consacrato. Un culto sconosciuto connesso con i cicli di rigenerazione cosmica. Non a caso, quando gli spagnoli decisero di conquistare il territorio incaico, il lago sacro suscitò in loro un grande interesse.
Yawirka, il Serpente d’oro
Un interesse scaturito dai numerosi racconti che si erano creati intorno a questa magica e sconfinata distesa acquea. Si diceva infatti che i suoi fondali fossero colmi di tesori. Così, verso la fine del 1500, avevano già iniziato a scavare profonde gallerie per fare defluire le acque con lo scopo di prosciugarlo. Oltre alle offerte votive essi speravano di recuperare un favoloso serpente d’oro il quale, secondo quanto si narrava, era stato gettato dai sacerdoti inca nel Titikaka con l’intento di sottrarlo alla cupidigia degli invasori. In realtà, pare si trattasse di una grossa treccia di lana interamente ricoperta di placche d’oro, a imitazione delle squame che costituivano la pelle del serpente. Secondo alcune descrizioni, il serpente aveva uno spessore del braccio di un uomo, era lungo 700 piedi ed era così pesante che duecento danzatori faticavano a sostenerlo. Questo serpente bicefalo veniva chiamato dagli Inca Yawirka e veniva custodito nell’Amaru Cancha, il tempio del serpente sacro. Yawirka veniva portato in processione per le strade di Cuzco nel corso delle festività in onore della dea Luna, in concomitanza con le varie fasi relative ai lavori agricoli. La processione terminava nella piazza principale e poco dopo si poteva assistere alla danza del serpente sacro, che veniva agitato dai danzatori con lo scopo di mimare i suoi sinuosi movimenti. Infine, il grande serpente, che celava anche implicazioni di ordine astronomico, veniva deposto acciambellato, come se fosse caduto in letargo, di fronte al sovrano inca assiso su un trono d’oro massiccio, collocato tra statue d’oro e d’argento che raffiguravano il Sole e la Luna. Oltre ai riti pubblici e quindi essoterici, venivano espletati dei rituali segretissimi riservati ai soli iniziati, che per mezzo di sostanze psicotrope erano in grado di ingenerare uno stato di allocoscienza (stato alterato della coscienza), che permetteva loro di accedere al mondo archetipo relativo al serpente cosmico.
L’impiego di sostanze allucinogene a fini rituali è antico come il mondo, e sono poche le società e le religioni in cui tali elementi vegetali e sacrali non erano presenti. Queste erbe, sapientemente dosate, costituivano la chiave di accesso al regno simbolico ed archetipo. La psicotropia era utilizzata dai sacerdoti iniziati per fare insorgere una condizione di lucidità extranormale volta a dialogare con la divinità. Un linguaggio segretissimo composto di suoni, cifre e segni, che nello stato normale essi studiavano, decifravano e custodivano gelosamente. Si tratta della lingua perduta degli dèi tramandata in seguito alle generazioni future di iniziati. Frammenti di questo alfabeto arcano sono contenuti nella lingua copta (lingua superstite derivata dall’egizio originario), nei geroglifici egizi, nelle formule rituali caldee e in alcuni simboli alchimici connessi con la Grande Opera, la Magnus Opus trasmutativa.
L’antico culto del dio serpente: il Serpent Mound
Il culto del Dio Serpente è antichissimo, risale a prima degli Inca e della loro divinità rettiloide Yawirka. Nell’Ohio meridionale, precisamente nella contea di Adams, sopra una ripida collina alta una cinquantina di metri dove scorre un fiumiciattolo chiamato Brush Creek, sorge la scultura di terra conosciuta con il nome di Serpente Mound, attualmente protetta dall’Ohio Historical Society. Visto dall’alto, il corpo del rettile sembra emergere dal terreno snodandosi sinuosamente dopo avere descritto sette curve (un numero dal profondo valore simbolico). La sua bocca è spalancata e sembra voler inghiottire un altro tumulo della lunghezza di trenta metri, dalla forma ovoidale che potrebbe rappresentare l’uovo cosmico. Il Serpente Mound raffigura con ogni probabilità la costellazione dell’Orsa Minore, rivelando in tal modo implicazioni di matrice astronomica-cultuale. Una sorta di potente archetipo in poche parole, capace di richiamare le energie cosmiche e di influenzare il lontano firmamento. Si può rilevare un’analogia con le cripte di molte cattedrali gotiche, ove si trovano grotte dolmeniche, centro di culto degli antichi sacerdoti delle genti celtiche, i Druidi. Tali centri energetici sono posti proprio nelle zone d’incrocio delle correnti telluriche, sacre e divine, spesso simboleggiate dall’immagine di un serpente. Anche le sacre cavità mitraiche (dal culto del dio solare Mitra connesso con il dio persiano Aura Mazda) venivano edificate su questi centri energetici, e il rettile era spesso rappresentato sugli altari posti centralmente. Il serpente ha sempre rivestito un ruolo di rilievo nella mitologia e nelle religioni di tutte le culture del passato. Lo ritroviamo ai due lati del mondo, dall’antica Grecia, all’Australia degli Aborigeni. Per gli indiani nordamericani il serpente simboleggiava la potenza. I Cherokee, per esempio, adoravano il serpente a sonagli che i Mohicani e i Delaware ritenevano uno spirito guardiano inviato dagli dèi. E’ interessante notare a riguardo che le tribù degli indiani Irochesi e dei Cherokee erano stanziate nei territori prossimi al Serpent Mound.
Il mitico Uroboros,
il serpente che si morde la coda
Il serpente si distingue da tutte le specie animali e incarna quello che potremmo definire lo psichismo oscuro, imperscrutabile e misterioso. Non a caso, nel Camerun del Sud, per mezzo di un linguaggio simbolico utilizzato durante la caccia, i Pigmei configuravano il serpente con un segno tracciato al suolo e anche alcuni graffiti dell’epoca Paleolitica assumono il medesimo significato. In sostanza, questo disegno stilizzato riconduce il rettile alla sua espressione primigenia. Si tratta di una semplice linea, ma una linea vivente e un’astrazione incarnata. La linea non possiede né un inizio né una fine, essa si anima ed è suscettibile di qualunque metamorfosi. Il serpente quindi non rappresenta un archetipo, ma bensì un complesso archetipale posto analogicamente in intima connessione con la notte primordiale. Nell’ambito dell’Induismo, dal punto di vista macrocosmico il serpente incarna la forza dell’energia Kundalini conosciuta con il nome di Ananta. La Kundalini (o Candalì), dormiente a livello della colonna vertebrale (l’Albero Cabalistico della Vita), veniva effigiata con l’immagine di due serpi (una rossa e una nera) avvolte in uno scettro, la verga di Aronne o fallo fecondatore conosciuto anche come Caduceo ermetico raffigurante il Mercurio Ermetico. Questa forza femminea indicata pure con il nome di Shekinah, la Gloria del Signore, accomunabile in qualche modo alla Shakti dell’Induismo tantrico, nel suo aspetto visibile appariva come una nube luminosa intorno al Tabernacolo. Ananta, il rettile primevo, nella sua accezione simbolica serra tra le sue spire la base dell’asse del mondo e viene associato a Vishnu e Shiva. Ananta simboleggia tra l’altro lo sviluppo interiore e il riassorbimento ciclico, espressione della stabilità rappresentata appunto dalla sua figura di reggitore del mondo. La sua forma circolare evoca ancestrali richiami ed è universalmente riconducibile al serpente che si morde la coda, l’Uroboros o Dio Serpente Djamballà (originariamente Damballah, il serpe dei riti segreti Vaudou a sfondo sessuale). Sotto questo aspetto l’Uroboros è il simbolo della manifestazione e del riassorbimento ciclico (intesocome il solve et coagula degli alchimisti), in unione sessuale con sé stesso, autofecondatore permanente, come indica anche la coda inserita nella bocca. Egli richiama la forma della prima ruota (cerchio) in apparenza immobile giacché gira su sé stessa, ma il cui movimento è perpetuo visto che riconduce eternamente a sé. Uroboros è il promotore della vita e della sua durata. Egli ha creato il tempo e l’esistenza mediante partenogenesi (sviluppo dell’uovo senza fecondazione). L’Uroboros determina il movimento degli astri e per questo motivo è senza dubbio la prima personificazione dello Zodiaco, l’antico simbolo di un dio naturale e anche grande divinità cosmografia e geografica. L’Uroboros può essere considerato a ragione la più antica personificazione dell’Imago Mundi, che con la sua lingua sinuosa unisce i contrari e le acque primordiali in mezzo alle quali fluttua il quadrato della Terra (quaternario elementale). Djamballà-Uroboros è assimilabile ad un’altra divinità Voudou, Dan-Homey, il cui nome letteralmente significa nel ventre di Dan, cioè il Sacro Serpente. Dan è il boa sacro che predilige i luoghi umidi essendo signore delle fonti e delle acque in generale, e poiché questo elemento è particolarmente prezioso e di vitale importanza, soprattutto in Africa, questa divinità è stata considerata come benevola e dispensatrice di ricchezze. La leggenda che lo riguarda narra, che di tanto in tanto, Dan abbandoni la Terra e si congiunga al cielo, ma nell’atto di staccarsi dal suolo per penetrare la volta celeste lasci cadere un dono per gli uomini. Colui che lo troverà potrà ritenersi molto fortunato, giacché ciò che il Dio dispensa in tal modo, l’oggetto in questione, possiederà poteri ed elargirà protezioni del tutto eccezionali. Una volta nell’etere Dan si spoglierà delle umide e colorate vesti che indossa e le stenderà ad asciugare nel cielo, facendo apparire in questa maniera l’arcobaleno. Dan infatti è anche l’arcobaleno, policromo serpente del cielo. La musica e il ballo sono intimante connessi con i vari volti di Dan e con il Voudou, la religione danzata, come dimostra il rito in onore di Djamballà, che celebrato ad Haiti, ancora oggi si esprime mediante lo yanvalou e il dahomey-z’èpaules, passi rituali che evocano e richiamano il movimento sinuoso e i contorcimenti del serpente, che a sua volta ricorda le movenze sensuali e flessuose del corpo femminile. Questa danza rammenta i culti Misterici di Eleusi, che attraverso l’unione sessuale degli opposti e la danza erotica, determinavano la fusione con le energie cosmiche e di conseguenza con il Dio Serpente.
L’arcano regno degli Dèi Serpente:
il mito dei Veglianti
Nella leggendaria città di Ur dei Caldei, la patria di Abramo, il patriarca ed iniziato di cui si parla nell’Antico Testamento, sono stati rinvenuti interessanti reperti legati al culto del Dio Serpente. L’autore della scoperta è l’archeologo inglese Leonard Woolei, che nel 1922, scavando tra le rovine di Tell al’Ubaid (un’antica città mesopotamica situata nei pressi di Ur), riportò alla luce alcune tombe semisepolte che racchiudevano vari idoli in terracotta. I manufatti raffiguravano esseri umani con una particolare caratteristica: le teste di serpente. A quanto pare questo genere di scultura era già diffusa nel 6.750 a.C. Tra le vestigia di un’altra città mesopotamica, Eridu, fu scoperta invece una vasca rituale con i resti di numerosi pesci, nascosta nei templi che costituivano la parte sacra della città. I pesci probabilmente erano dedicati al culto del dio pesce Dagan oppure al dio Enki, divinità sumerica che regnava nell’Abzu o Apsu (oceano sotterraneo). Questi esseri erano i famosi Veglianti (o vigilanti), e altre loro rappresentazioni scolpite che li effigiavano con sembianze di lucertole-serpente furono ritrovate a Jarmo, nel Kurdistan iracheno, dall’archeologo Robert Bradwood. Le piccole statuine facevano parte di un corredo tombale, sul petto e sulle spalle erano visibili alcune sfere incise longitudinalmente, simili ad occhi. Secondo Woolley, le figurine di terracotta erano da porre in relazione con l’Oltretomba e con i riti dedicati ai defunti, riconducibili anche ad alcune divinità serpentiformi come Ningishzida. Il popolo di Tell al’Ubaid credeva che questi esseri-serpente, i Veglianti, si appropriassero dei morti e li trasformassero in vampiri: creature spaventose che avevano la capacità di confondersi con gli uomini e di rapirli per i loro scopi. Questi manufatti, che ritraevano gli dèi serpente, simboleggiavano in sostanza lo straordinario potere di tali divinità che originavano la vita senza sforzo apparente, traendola dal nulla (questa immagine si ricollega evidentemente alla figura dell’Uroboros e alla partenogenesi che lo riguarda). Come già spiegato, il culto del dio serpente si perde nelle propaggini del tempo e veniva celebrato all’interno dei templi megalitici, come quello di Gjgantija (la città dei giganti), a Malta. Elementi relativi a questo culto sono presenti anche nel racconto di Adamo ed Eva (Genesi) e nel mito di Gilgamesh (poema sumero intitolato Sha nagha imuru). Numerosi, insomma, i miti che racchiudono riferimenti associati ai rettili quali dispensatori di cultura e sapienza. Il popolo egizio adorava il serpente Rennutet, considerato come il padrone del granaio. La serpe Thermuthis, invece, incarnava per gli Egizi la prima nutrice di Mosè. Tra le rocce della necropoli egizia di Deir el-Medineh si può vedere una raffigurazione di Merseger, il serpente denominato L’amica del silenzio, per sottolineare la sua appartenenza al regno dell’Oltretomba. Infatti, era opinione diffusa che i serpenti, dimorando nel ventre della Terra, fossero a conoscenza dei misteri legati all’Aldilà e alle divinità infere che lo abitavano. Altre connotazioni di ordine simbolico sono rinvenibili nell’Ureus, la corona dei faraoni, che rappresentava il cobra lucente ossia il potere inceneritore del dio. Nel Libro dei Morti egizio, il dio Serpente Apopi (una divinità infera), era descritto come un animale gigantesco che ogni giorno minacciava di sovvertire l’ordine cosmico insidiando la barca del Sole. Apopi aveva accolto il dio solare Atum tra le sue spire, all’interno delle quali aveva generato Shu (il dio cosmico che raffigura l’atmosfera) e Tefnut (la dea primigenia dell’umidità). Alla stregua del Lucifero cristiano, il Serpente Cosmico prenderà parte alla rivolta degli dèi del cielo schierandosi dalla parte del dio del male Seth, l’uccisore del dio Osiride. Esistono in questo senso analogie con i racconti contenuti nelle Sacre Scritture concernenti questo tema. Mosè stesso sanerà dal morso dei serpenti il suo popolo in marcia nel deserto durante l’esodo, fabbricando un serpente di bronzo che porrà in cima a un’asta. Il culto degli dèi serpente è menzionato anche nell’ambito di altre culture. Tra queste segnaliamo quella assiro-babilonese, quella dei Persi, quella degli Hurriti, le quali sostenevano che la Conoscenza era stata dispensata loro da una razza antichissima, i Naga, ritenuti appartenenti a un popolo metà uomo e metà serpente. Nell’antica Roma, il dio greco della medicina, Asclepio, era raffigurato con le sembianze di un serpente confermando così l’importanza della cultualità legata ai rettili. A Chichen Itzà, nello Yucatan, sorge la maestosa piramide di El Castillo, risalente al periodo maya-tolteco, dedicata al divino Kukulkan-Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, divinità celeste simbolicamente incarnata dal pianeta Venere. Nel giorno dell’Equinozio di Primavera, quando i raggi del Sole sorgente, o le ultime lame di luce al tramonto, lambivano in direzione latente lo coppia di facce nord-sud di El Castillo, illuminando in pieno la parete laterale corrispondente ai parapetti delle scale, si manifestava un evento straordinario. Grazie alla sapiente maestria dei costruttori e mediante un gioco di sagomature eseguite sui gradini e sulle muraglie, era possibile vedere l’ombra del Sole investire la gradinata creando l’immagine di un serpente luminescente che dall’alto della piramide scendeva fino a terra, allo scopo di fertilizzarla. Ancora oggi nel periodo dell’Equinozio di Primavera, durante le feste di Panquetzaliztli, al momento del tramonto un gran numero di messicani possono ammirare, sullo sfondo oscuro della parete settentrionale, la sagoma scintillante del rettile, raffigurante nel mito il corso perenne del rifulgente astro diurno. Oltre i confini del tempo e dello spazio, al di là dell’Assoluto, il Dio Serpente attende di essere ridestato dal suo sonno millenario e di tornare, per affermare nuovamente il suo dominio. Il regno immortale del ciclico eterno divenire.