Nel buio oscuro del caos primigenio, forme indistinte, materia in fermento, elementi vitali, magma organico e atomi in perenne oscillazione si sono uniti per creare la Forma, in una ridda di colori e di combinazioni presiedute dal numero, la legge suprema, il Dio occulto, il Grande Architetto dell’Universo Visibile, Invisibile e indivisibile. Luce e Ombra si sono sfidate e rincorrendosi hanno cercato di prevalere affermando ciascuna il diritto alla supremazia. E proprio nel buio, forme corrotte, orripilanti similinature, larve ghignanti, aborti dell’astrale inferiore hanno generato creature mostruose e arcontiche presenze. Nel sogno mai estinto di un eterno dualismo la notte dell’anima, la tenebra primordiale e gli istinti ottenebranti riportano alla genesi remota del Bene e del Male, del Verbo Sacro e di quello privo di luce che annienta lo spirito, incatenando l’anima e la mente al giogo di una lenta agonia interiore. L’iniziato, Guerriero di Luce, deve vincere le forze contrarie e riaffermare il suo diritto alla Vita e alla trasmutazione, come accadeva in tempi remoti quando magia e incantesimi erano le armi elettive volte a sconfiggere il male. Una lotta impari, come sta scritto in una pagina del Secondo Libro di Jeu, testo gnostico costellato di incantesimi e cifre magiche: “Ascoltami Padre mio, Padre di ogni paternità, luce infinita. Ascoltami e fa venire Sabaoth Adamas con tutti i suoi capi per togliere la loro cattiveria nei miei discepoli”.
Magia Onirica Egizia: il potere dei Sogni
Incantesimi e magia sono le chiavi pratiche e operative celate nei celebri Vangeli Apocrifi rinvenuti nel 1945 a Nag Hammadi (Egitto), accompagnate da un corpus iniziatico dalle profonde valenze sacrali. La cosa non deve stupire più di tanto, considerando che gran parte della cultualità officiata nell’antico Egitto racchiudeva elementi magico-religiosi di impronta eminentemente pratica. Gli Egizi, per esempio, credevano al potere dei sogni e delle visioni che ne scaturivano, convinti che le esperienze oniriche manifestavano la volontà divina attraverso il sogno. L’immagine degli dèi e le scene che si sostanziavano durante il sonno, sembravano provare l’esistenza di un altro mondo che non era molto diverso da quello che essi già conoscevano. La perfetta padronanza dell’arte di procurare i sogni e l’abilità nell’interpretarli erano ritenuti sacri e colui che deteneva tale potere veniva considerato alla stregua di un dio, venerato ed elevato alle più alte cariche dello Stato, come dimostra la storia biblica di Giuseppe, il re dei sogni. A tale riguardo possiamo menzionare alcuni sogni e visioni legate a Thothmes IV, il Re d’Egitto che regnò nel 1450 a.C. e altri legati a Nut-Amon, Re del Sudan orientale e dell’Egitto, intorno al 670 a.C., successivamente trascritti in testi egizi. In una stele che Thothmes fece erigere dinanzi alla Sfinge di Gizhe è raccontato il suo sogno. Il racconto narra di un principe che stava cacciando nei pressi del monumento (la Sfinge) dedicato a Ra-Harmachis, quando decise di riposarsi alla sua ombra. Ad un tratto si addormentò e incominciò a sognare. Nel sogno gli apparve un dio che si fece riconoscere come Harmachis-Khepre-Ra-Temu, il quale promise al nobile giovane che se avesse rimosso i mucchi di sabbia che ricoprivano la Sfinge, rischiando di seppellirla, gli avrebbe concesso la sovranità delle terre del sud e del nord, ossia dell’intero Egitto. Il sogno si avverò e il principe divenne Re d’Egitto con il nome di Thothmes IV e la stele, sulla quale è incisa la data del diciannovesimo giorno del mese di Hathor, del primo anno di Thothmes IV, conferma che il sovrano protagonista dell’esperienza onirica adempì ai voleri del dio.
Il Dio Maledetto
Torniamo ad occuparci dei Vangeli Apocrifi di Nag Hammadi nei quali, come spiegato, è celato un insegnamento prevalentemente pratico. Una conoscenza volta a disperdere le ombre e a fare trionfare la Luce. I miti gnostici, per altro numerosi, sembrano concordare su una questione di estrema importanza, retaggio di un sapere remoto. Si tratta dell’esistenza di un dio malvagio, creatore di questo mondo, opposto alla divinità somma conosciuta con l’appellativo di Padre Sconosciuto, un dio maledetto. La sua presenza è confermata in tutti i più importanti testi sacri di Nag Hammadi, tra questi Il Libro Segreto di Giovanni (Apocryphon Johannis), la Natura degli Arconti (Ipostasi degli Arconti), l’Apocalisse di Adamo, un Trattato sull’Origine del Mondo, le Tre Stele di Seth. In gran parte di questi si parla di Jaldabaoth, il terribile Demiurgo dalla testa di leone e il corpo di drago. Il Grande Arconte, padre del caos, dunque, proclamandosi il vero ed unico Dio pronuncia le medesime parole esternate dal Dio dell’Antico Testamento: “Io sono Dio. Non esiste altro Dio all’infuori di me!” (Ipostasi degli Arconti, LXXXVI, 30). Se analizziamo lo scritto di Isaia (XLV, 5) rinveniamo l’identica formula egoica pronunciata da Jahweh. Non a caso gli Gnostici identificavano nel Dio ebraico proprio il creatore malvagio dalle connotazioni malefiche e demoniache, il Dio geloso, Jaldabaoth. Al culmine della sua presunzione, quindi, il temibile Demiurgo decide di creare un mondo che sia simile in tutto e per tutto a quello generato dal Padre Sommo, ma con gli ovvi limiti insiti in una natura imperfetta. Per realizzare quanto programmato, però, ha bisogno di alcuni aiutanti animati dagli stessi istinti malvagi e uniti da un’affine propensione al male, che lo affianchino nel progetto creativo. Ciascuno, in base a quanto stabilito deve occuparsi di una singola parte del cosmo. In questa maniera vedono la luce le dodici potenze, espressione primaria della creazione demiurgica rappresentanti le dodici costellazioni dello Zodiaco e successivamente i sette Arconti Planetari, che in maniera analoga all’imitazione dell’atto creativo assumono nomi simili a quelli del Dio dell’Antico Testamento. Il primo si chiama Athoth (dall’aspetto di pecora); il secondo è Eloaiu (con le sembianze di un asino); il terzo è conosciuto come Astafaios (esteriormente uguale ad una iena); il quarto è Jao (rappresentato come un drago a sei teste); il quinto è Sabaoth (la cui figura è quella di un drago); il sesto viene appellato con il nome di Adonin (il cui aspetto è quello di una scimmia); e infine, il settimo, Sabbede (che appariva come un fuoco splendente), Apocryphon Johannis XI, 29s. Attraverso questa particolarissima teoria promulgata dagli Gnostici si spiega la presenza dei nomi divini contenuti nell’Antico Testamento: Jahwe, Adonai, Sebaoth e altri ancora. La connotazione negativa attribuita a Jaldabaoth è riconducibile anche ad altre entità egualmente malvagie quali, Sammael (identificabile come il Dio cieco), che ritroviamo nel Trattato sull’Origine del Mondo, oppure Sakla (il Folle), menzionato nel Vangelo degli Egiziani, a conferma dell’impronta demonica insita nella cosmo e nei suoi creatori. Tuttavia, non ancora soddisfatto, il Grande Arconte decide di compiere una ulteriore profanazione tentando di imprigionare l’immagine del Dio Sommo servendosi di una forma finita ricavata dal fango, dal quale trae un creatura rozzamente somigliante all’archetipo divino che nulla ha a che vedere con il Padre di Luce. Nasce così l’Adamo corporeizzato nel fodero carneo o veicolo fisico mortale. Questa copia mal riuscita non riesce nemmeno a mantenere la posizione eretta e in principio è costretto a strisciare coma una serpe. A questo punto, mediante l’intervento di altrettante entità arcontiche, viene compiuto un estremo tentativo volto a infondere l’alito vitale nella creatura appena generata, e a creare le sostanze psichiche e tutti quegli elementi umanizzanti utili per formare l’unità delle membra e l’insieme delle funzioni principali. Ed ecco che l’Arconte Eterafaope-Abion crea la testa; Meniggesstroeth crea l’apparato cerebrale; a Asterecme spetta la generazione dell’occhio destro; Taspomoca, invece, si occupa dell’occhio sinistro; Jeronymos è preposto a dare vita all’orecchio destro, mentre Bissoum pensa a quello sinistro; Akioreim, a sua volta, crea il naso; Banenefruom forma le labbra e così via, (Apocryphon Johannis XV, 22s). Ma nonostante gli sforzi, Adamo è quasi del tutto inerte e giace ancora a terra. Il Signore Supremo, mosso a compassione dalla sua stessa immagine tanto imperfetta e quasi patetica, interviene e vivifica il corpo di Adamo per mezzo di un’entità di Luce, Epinoia, la quale infonde, o per meglio dire vivifica l’involucro materiale di Adamo inserendo in lui lo Spirito o Pneuma Divino. Questa straordinaria dimostrazione di potenza generatrice desta rabbia e risentimento in Jaldabaoth, che in preda al furore cerca di strappare la Potenza di Luce o Forza
Generatrice-luminosa, il Pneuma, disceso in Adamo con lo scopo di dare vita ad una nuova creatura di sesso femminile. Così, tentando di sottrarre la Scintilla Luminosa custodita in Adamo si genera Eva. La creatura femminea viene rapita dal malefico Demiurgo con la complicità degli Arconti, i quali abusano di lei violentandola innumerevoli volte con il solo intento di carpire l’arcano segreto connesso con la sua natura luminosa. Di nuovo le trame oscure vengono vanificate e le entità tenebrose, a causa della loro valenza nefasta ed oscura, pur avendo posseduto Eva si impadroniscono soltanto della sua ombra e del suo involucro psichico.
L’ombra del Drago: Il divoratore della Luce
Tutte le manovre messe in atto dal Signore degli Arconti assumono l’aspetto di veri e propri riti di bassa magia o magia tenebrarum, e pongono in rilievo le arti nere che rinveniamo in quella pratica operativa che sembra presiedere alla creazione di esseri elementali con scopi tutt’altro che positivi. Anche l’inganno del serpente legato all’Albero del Bene e del Male appare di impronta stregonica e solleva un quesito: il serpente è realmente un animale dalle connotazioni negative? In tutte le civiltà e in numerose culture il serpente è un apportatore di conoscenza, grande iniziatore e mistagogo. Non a caso gli Gnostici Ofiti devono il loro nome proprio alla parola greca ophis, che vuol dire serpente. Il rettile ci ricorda anche Uroboros, il Serpente Cosmico. Da questa considerazione si evince che l’ingannatore al servizio del Dio arcontico era un drago. Del resto, anche lo stesso Jaldbaoth appare con il corpo di drago e la testa leonina. Fin dalla notte dei tempi il drago esprime connotazioni di ordine crepuscolare in antitesi con la Luce. Nella metafora che vede il cavaliere lottare con il drago per liberare la bella principessa, sono racchiuse tutte le allegorie inerenti alla riconquista da parte dell’iniziato della sua controparte femminea. In questo caso il drago simboleggia le potenze oscure che dividono le due metà, lo squilibrio che rende preponderante la parte mascolina a discapito della natura femminea che si deve ricongiungere al suo fulcro generatore e fecondante per dare vita al Rebis Alchimico o figura Androginica-Alchimica. Non per niente nei testi di Nag Hammadi, all’interno del Vangelo Copto di Tomaso, il Cristo afferma: “Allorché di due farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna come l’interna e la parte inferiore come la parte superiore (notare le connessioni con la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto: “Ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto…”), allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina…”. Le connessioni e i riferimenti allo stato di androginia sono palesi. Il drago, in poche parole, è da sempre il divoratore della luce, il Guardiano della Soglia, l’agente preposto ad annullare quanto di luminoso esiste nel visibile e nell’invisibile. E’ lui che ingoia il Sole durante l’eclissi solare, come è possibile verificare analizzando i miti presenti in tutte le civiltà antiche. San Michele, agente della Luce, uccide il drago, elemento oscuro, per fugare le tenebre e fare in modo che il rifulgente Sole Spirituale torni a rischiarare l’orizzonte interiore. Lo stesso Mitra persiano, divinità solare legata ad Aura-Mazda, è un simbolo luminoso e solare, che attraverso il sacrificio del toro sconfigge le forze del caos e delle tenebre consentendo alla Luce di trionfare. Esiste un’unica eccezione alla nefasta azione divoratrice e tenebrosa del drago. La rinveniamo nel culto apollineo dove è presente un drago dalle connotazioni solari connesso con il dio del Sole Apollo. La magia solare che è custodita gelosamente nei testi di Nag Hammadi, contenuta anche nei celebri Rotoli del Mar Morto di Qumran, è detta Teurgia Divina o Solare, una tecnica complessa finalizzata a entrare in contatto con gli Esseri di Luce o Archetipi Divini. La sua tecnica operativa prevede una evocazione e un supporto di ordine telepatico con le entità luminose. La cerimonia contempla l’utilizzo di parole (il Verbo Sacro), che devono essere vibrate con magistrale maestria e profonda conoscenza delle leggi fonetiche-magiche-sonore. La corretta vibrazione in effetti, consente di raggiungere lo specifico piano e richiamare la forza prescelta.
L’Antica Magia di Nag Hammadi: la rituaria degli Gnostici
L’elemento magico nella Gnosi riveste un ruolo determinante, e in certi casi è proprio la conoscenza da parte dell’iniziato di certune parole, nomi, cifre magiche appartenenti a uno o più arconti, che gli consentono di controllare e sottomettere le forze planetarie, incarnazione e configurazione dei poteri demonici e malvagi. Mediante il rito, dunque, era possibile dominare gli Arconti e avere contatti solo con gli Esseri di Luce. Nella Pistis Sophia, una delle opere maggiormente significative della dottrina gnostica, il cui testo è di provenienza egiziana, si legge: “Egli (Gesù Cristo) alzò la voce dicendo – Ascoltami, Padre! Tu, padre di ogni paternità, tu, luce infinita. Iao. Iuo. Oia. Psinother. Theropsin. Opsither. Nephthomaoth. Nephiomaoth. Marachachaktha…” (P. Sophia CXLII,3s.). La formula che abbiamo presentata fornisce un’idea approssimativa di come si svolgeva il rito teurgico-evocatorio connesso con la pronuncia segreta dei nomi di potenza delle divinità astrali. Nell’antico scritto gnostico da noi già citato, il Secondo Libro di Jeu, si trovano numerosi glifi magici, cifre, sigilli, invocazioni magiche legate ai poteri arcontici, estremamente elaborati e tecnicamente complessi. Il sistema operativo si basa sull’utilizzo della visualizzazione, o arte dell’immaginazione fecondante e la formulazione costante - o ripetizione magica-ermetica - del nome del demone planetario scelto. Questa pratica consentiva all’iniziato gnostico di superare e neutralizzare nel corso del viaggio astrale, mirato a raggiungere le dimore del Padre Sommo, l’influenza e gli influssi nefasti di ogni singolo arconte-guardiano posto a sorveglianza di ciascun pianeta. Il sapere magico-rituale legato alla conoscenza di arcane e secretate cifre magiche quindi, poteva in tal modo vanificare l’oscura e malevola forza contraria manifestata dal terribile Signore di questo Mondo, il temibile Jaldabaoth, e dalla moltitudine di entità intermedie di stampo larvale a lui asservite. L’atto gnostico o veicolo di salvezza, da questo punto di vista diviene parte integrante di un rituale magico-religioso volto, per mezzo di invocazioni di matrice teurgica, a fare sì che l’iniziato venga assorbito dal Regno di Luce e contemporaneamente riesca a tenere a bada il tenebroso Dio delle Regioni oscure e ottenebranti. Da quanto sinora esposto, appare chiaro che qualunque dottrina ermetica-religiosa di stampo magico-iniziatico non può manifestarsi o diffondersi senza l’apporto di un aspetto pratico-operativo. La sola teoria è inefficace se non viene supportata da riti e cerimonie in grado di consolidare le energie veicolate in Astrale. La stessa religione cattolica si serve di riti magici sottratti alla ReligionePagana, senza i quali non avrebbe potuto originare la catena magnetica di potere che perdura ancora oggi. Il misticismo cattolico non avrebbe potuto dare vita a una corrente tanto potente senza gli strumenti operativi che ne hanno decretato il successo, offerti loro dagli ultimi sacerdoti pagani convertitisi al Cristianesimo. Se un’idea non viene astralizzata, non possiede la forza necessaria indispensabile per consolidare a livello magnetico i dettami occulti e teorici. La forza deriva dal rituale, in caso contrario ogni sforzo di affermazione si disperde. San Francesco d’Assisi ha riscosso un grande successo grazie al suo magnetismo personale, ma soprattutto perché si è inserito nella catena magica della Chiesa e posto sotto la sua egida. Egli lo sapeva e per questa ragione ha cercato e ottenuto che la Regola Francescana da lui creata fosse riconosciuta dal Papa.
Magia Egizia e Gnosi operativa
Come precedentemente esposto, esistono delle interessanti correlazioni tra la magia gnostica e la cultulaità di tipo occulto dell’antico Egitto. Ciò è dovuto al fatto che molti dei testi gnostici provengono dal Corpus Hermeticum Egizio e di conseguenza ne ripropongono la matrice operativa. Nel Libro Egizio dei Morti, vero e proprio manuale di magia, troviamo uno scongiuro rituale finalizzato a sconfiggere il Signore oscuro, il terrificante demone Apopi: “Ra ti fa tornare indietro, tu che gli sei odioso. Egli ti guarda, retrocedi dunque. Egli percuote la tua testa, sfregia il tuo volto, divide la tua testa in due parti e la frantuma sulla sua terra, fracassa le tue ossa, squarta le tue membra. Tu, Apopi, nemico di Ra, sei stato condannato dal dio Aker. Indietreggia, demone, davanti alle frecce della sua luce! Ra ha sconfitto le tue parole, gli dèi hanno rivoltato indietro il tuo viso, la Lince ti ha squarciato il petto, lo Scorpione ti ha incatenato, Maat ha decretato la tua distruzione. Gli dèi del sud e del nord, dell’occidente e dell’oriente hanno serrato catene su di lui; e lo hanno incatenato con catene; il dio Rekes lo ha sconfitto e il dio Hertit lo ha incatenato”. La data in cui il testo è stato compilato è tuttora sconosciuta, tuttavia esso è presente con differenti varianti in numerose copie del Libro dei Morti risalenti alla XVIII dinastia. Più tardi fu creato un libro di esorcismi, per così dire, chiamato Il Libro della Distruzione di Apopi, contenente due versioni inerenti alla storia della Creazione e un elenco magico di nomi legati ad Apopi, il mostruoso arconte. Tra i vari capitoli di questo testo magico-operativo, uno in particolare desta interesse e si intitola: Capitolo del dare fuoco a Apopi. In esso è riportato un rito occulto comprendente il seguente scongiuro: “Che il fuoco venga su di te, Apopi, nemico di Ra! L’Occhio di Oro vince sull’anima maledetta e sull’ombra di Apopi, e la fiamma dell’Occhio di Oro corroderà quel nemico di Ra; e la fiamma dell’Occhio di Oro consumerà tutti i nemici del potente Dio, Vita! Forza! Salute! Sia in morte che in vita. Quando Apopi viene dato alle fiamme – dice la rubrica – tu pronuncerai queste parole magiche: Assapora la tua morte, o Apopi, torna indietro, recedi, o nemico di Ra, cadi a terra, sii respinto, torna indietro e recedi. Ti ho respinto e ti ho tagliato a pezzi”. Nonostante la formula menzionata sia meno complessa di quella racchiusa nella Pistis Sophia, che mostra un livello sicuramente più alto ed accurato, l’incantesimo descritto possiede una sua forza evocativa e magico-operativa. Per combattere la lunga notte dell’anima non si può solo teorizzare pronunciando vuote parole, orpelli di prolissità fine a sé stessa, ma necessita un’azione incisiva. L’azione, e non la teoria, devono opporsi alle forze del caos primigenio, agli arconti divoratori di anime. L’autentico Guerriero di Luce è pronto alla battaglia, all’azione, come testimoniato dagli Gnostici. La conquista della Luce è lunga e onerosa, rischiosa e a volte impari. Ciò nonostante il vero iniziato non si tira indietro e coraggiosamente si lancia verso le dimensioni ignote affinché le forze luminose possano trionfare, vincere, sconfiggere il Gran Male. Allora, e solo allora, egli contemplerà il volto radioso del Dio Risplendente mentre il volto arcigno e tenebroso del Dio maledetto, il Dio-Mago, si dissolverà come polvere nei secoli infiniti di mondi lontani, oltre il tempo e lo spazio, dove la Luce non rischiara il cammino e non scalda lo spirito.