Pur essendo stato pubblicato nel 1889, nei repertori bibliografici e nei cataloghi di antiquariato della prima metà del ‘900 era già considerato rarissimo, al pari di famosi e introvabili classici dell’alchimia stampati nei secoli precedenti. Le collezioni e le biblioteche pubbliche o private che possono vantarne il possesso di una copia, come il British Museum di Londra, si contano sulle dita di una mano, e la più nota e accreditata enciclopedia dei Tarocchi ne riproduce soltanto alcune carte, peraltro rinvenute fortuitamente tra le pagine di un vecchio libro di cartomanzia, poiché l’Autore Stuart R. Kaplan, unanimemente considerato il maggiore collezionista di tarocchi contemporaneo, in molti anni di ricerche non è mai riuscito a trovarne un mazzo intero[1].
Non a caso è stato significativamente definito “the holy Grail” dei collezionisti. Di cosa si tratta? Probabilmente del più importante e ricercato mazzo di tarocchi moderni esistente al mondo. Più precisamente: Les 22 Arcanes du Tarot Kabbalistique di Osvald Wirth, apparso a Parigi appunto nel 1889, realizzato in soli 350 esemplari dall’Editore Poirel.
Il Wirth, autentico cultore della affascinante materia, disegnò questi magnifici arcani maggiori durante l’arco di alcuni mesi, all’età di 29 anni, seguendo le sapienti e precise istruzioni del proprio maestro, l’insigne esoterista Stanislas de Guaita, il quale aveva fatto tesoro dei preziosi insegnamenti di Eliphas Levi relativi al “Libro di Thoth”.
Nato a Brienz, in Svizzera, il 5 agosto 1860, Oswald Wirth giunse all'età di vent'anni a Parigi, dove ebbe modo di stabilire proficui contatti con l’ambiente esoterico della capitale. Dopo un primo periodo di apprendimento e di pratica svolto all’interno della Société Magnétique de France, nella quale si distinse per le doti di “magnetista terapeutico”, nel 1884 fu iniziato alla Massoneria nel Grande Oriente di Francia.
Nella primavera del 1887 avvenne il primo di una lunga serie di incontri con il giovane Stanislas de Guaita[2], che si tradurranno in un sodalizio profondo e leale, destinato a trasformare radicalmente la vita del Wirth. Il marchese divenne infatti la sua guida illuminante, introducendolo allo studio e alla comprensione dei misteri dell’esoterismo, della cabala e dei tarocchi e affiliandolo successivamente all’Ordre Kabbalistique de la Rose+Croix.
Dopo aver notato e apprezzato le spiccate doti artistiche del discepolo, il de Guaita lo invitò a realizzare un nuovo mazzo di tarocchi che potesse restituire alle carte il loro autentico simbolismo esoterico e la loro "purezza jeroglifica", come auspicato e in parte compiuto a suo tempo da Eliphas Levi. Utilizzando due mazzi classici che il de Guaita gli mise a disposizione, e osservando scrupolosamente le autorevoli indicazioni del maestro, il Wirth, pur mantenendo una impostazione tradizionale, operò una incisiva revisione delle immagini e una elaborazione profonda dei colori e dei simboli, correggendo i precedenti errori e aggiungendo particolari rilevanti e inediti. Vennero così alla luce in pochi mesi gli splendidi XXII Arcanes du Tarot kabbalistique, restitués à leur pureté hiérogliphique sous les indications de Stanislas De Guaita. Il riferimento nel titolo al proprio padre spirituale non è casuale. Evidentemente il contributo del maestro si era rivelato determinante. E’ lo stesso Wirth ad ammetterlo e confermarlo onestamente nella sua illustre opera “Le Tarot des Imagiers du Moyen Age”[3], nell’introduzione della quale scrive:
“Sapendo che ero un disegnatore, [de Guaita] mi consigliò, durante il nostro primo colloquio nella primavera del 1887, di restituire i 22 Arcani dei Tarocchi alla loro purezza jeroglifica, e mi fornì immediatamente una documentazione consegnandomi due mazzi di Tarocchi, l’uno francese e l'altro italiano[4], oltre al Dogme et Rituel de la Haute Magie, l'opera fondamentale di Eliphas Levi, nella quale i Tarocchi sono oggetto di copiosi commentari. Fu il punto di partenza della presente opera, la cui paternità spirituale è da attribuirsi a Stanislas de Guaita. Quando gli sottoposi una prima serie di Tarocchi ridisegnata in seguito alla comparazione dei due mazzi grossolani, il sapiente occultista mi espose le sue critiche, delle quali fu tenuto conto nella pubblicazione del Tarot Kabbalistique apparso nel 1889, realizzato in 350 esemplari con le tecniche di elioincisione da G. Poirel. Questi Tarocchi furono apprezzati dagli occultisti. Erano molto soddisfacenti rispetto ai mazzi di carte allora in commercio, ma potevano essere perfezionati. La realizzazione ideale esige una perfetta unità del simbolismo, in modo che tutto sia contenuto nelle 22 composizioni, che devono illuminarsi reciprocamente e non comportare alcun particolare arbitrario ingiustificato. Per giungere a questa messa a punto dei Tarocchi, si è reso necessario afferrarne l’idea generale e iniziarsi alle concezioni che ne hanno determinato la nascita. Con l'aiuto di Stanislas de Guaita, mi misi al lavoro per acquisire la scienza del simbolismo che mi avrebbe autorizzato a ricostruire i Tarocchi nel disegno e nei colori esatti, conformemente al genio medievale. Fu un lungo lavoro, ma ebbi la pazienza di istruirmi metodicamente. Ovunque li abbia incontrati, mi sono esercitato a interpretare i simboli, al punto di crearmi la reputazione di specialista in materia. Partendo dal simbolismo costruttivo dei Frammassoni, fui poi indotto a confrontarlo con quello degli Alchimisti, che traducono in immagini tratte dall’antica metallurgia l’esoterismo iniziatico, così sapientemente adattato dagli intagliatori di pietre medievali alla pratica della loro arte. Quando si riesce a far parlare i simboli, essi superano in eloquenza ogni discorso, poiché permettono di ritrovare la Parola Perduta, vale a dire l'eterno pensiero vivente del quale sono l'espressione enigmatica. Decifrando i geroglifici della profonda saggezza muta, comune ai pensatori di tutte le epoche, e delle religioni, dei miti e delle finzioni poetiche, si possono trarre nozioni concordanti relative ai problemi che hanno sempre interessato lo spirito umano”.
Anche Stanislas de Guaita dedicò alcune righe ai tarocchi del Wirth, nel libro Le Temple de Satan[5], nel quale scrive: “Si tentò di riedificare almeno l’edificio autentico delle XXII Chiavi. Oswald Wirth ha valorosamente affrontato questo arduo compito: sostituendo dei disegni corretti all’informe accozzaglia di colori dei vecchi Tarocchi, questo giovane iniziato ha fatto opera tra le più meritorie. Tutti gli appassionati di Teosofia hanno adesso conoscenza del Tarocco di Parigi, in cui la simbologia delle XXII Chiavi si trova restituita alla sua purezza originale, a cura di Oswald Wirth. Tra le mani del Mago, il Tarocco è una macchina filosofica, rivelatrice della Sintesi Assoluta”.
Le carte del prestigioso mazzo del Wirth si presentano inserite all’interno di un elegante astuccio in cartone rigido rosso bordeaux con rifiniture in oro, sul quale è applicata un’etichetta avorio con il titolo stampato in nero, illustrato da un’immagine (dello stesso Autore) che raffigura i simboli dei quattro elementi, o Evangelisti, contornati da un serpente simile all’ouroboros che addenta un frutto. I ventidue arcani, anch’essi su cartoncino rigido, hanno i bordi dorati e misurano 14 x 8 cm; il retro è uniforme, di colore verde chiaro. A lato del nome di ogni arcano sono riportati il numero progressivo del medesimo e la lettera ebraica corrispondente, secondo l’attribuzione formulata da Eliphas Levi[6]. Il marchese de Guaita, che da quanto scrive in una lettera inviata all’amico M. Barrès aveva in progetto la realizzazione di un saggio sui tarocchi – rimasto purtroppo incompiuto, forse a causa della prematura scomparsa – dedicò ogni capitolo della sua illustre opera “Le Serpent de la Gènese – Essai de Sciences Maudites”[7] agli arcani maggiori, e inserì alcune illustrazioni delle carte del Wirth nel volume “La Clef de la Magie Noire”[8], mentre Papus volle riprodurre nel suo libro “Le Tarot des Bohémiens”[9] l’intera serie dei disegni dei 22 arcani. Possiamo aggiungere che successivamente all’edizione del 1889, furono pubblicate dal Wirth alcune altre versioni dei propri arcani, caratterizzate da leggere modifiche, fino a giungere al modello definitivo inserito nell’album posto a corredo della nota prima edizione del “Tarot des Imagiers” del 1927[10]. In queste figure di notevole bellezza, impresse su fondo oro, è possibile notare la maturità dell’artista, che si riflette specificamente nei dettagli molto curati, nelle forme più ampie e armoniose, nei colori e nelle linee più raffinati ed eleganti, oltre a un particolare inedito, che si traduce in un interessante motivo ornamentale posto a cornice di ogni carta, di sicuro effetto decorativo, nel quale alcuni hanno voluto individuare simboli esoterici, cifre magico-alchimiche e caratteri runici. Dobbiamo invece all’Editore Tchou di Parigi, un’ultima versione inserita in una nuova edizione dello stesso testo (1966), che riprende sostanzialmente le immagini del 1926, nelle quali tuttavia è stato eliminato il contorno decorativo e accentuato il cromatismo, sovrapponendole a un fondo oro brillante[11].
Secondo F.R.Dumas, “Il compito precipuo di Oswald Wirth è stato quello di trasferire la Grande Opera magica degli alchimisti nell’ideale delle Società dell’Illuminismo del XX secolo, con tutto il suo vocabolario, i suoi simboli e le sue immagini”[12]. In effetti gran parte dell’intera produzione letteraria del Wirth è pressoché incentrata sulla sintesi e sull’interpretazione del valore universale dei simboli, che intendeva ricondurre a una matrice comune attraverso la ricerca e l’analisi comparata degli archetipi e delle espressioni più rappresentative del pensiero iniziatico alchimico-ermetico, magico-cabalistico, mitologico-religioso e massonico. Ogni suo testo costituisce indubbiamente un contributo di grande importanza allo studio del simbolismo esoterico, tuttavia è innegabile che l’opera nella quale profuse maggiore impegno e il più ispirato entusiasmo creativo, ancora oggi considerata unanimemente un imprescindibile punto di riferimento sul tema, fu Le Tarot des Imagiers du Moyen Age, della quale i XXII Arcanes du Tarot Kabbalistique, costituiscono la quintessenza e il capolavoro iniziatico e artistico.
[1] Stuart R.Kaplan: “The Encyclopedia of Tarot”, New York, 1978, vol. I, pag. 162.
[2] Evento definito dal Wirth stesso “di importanza capitale”, peraltro annunciatogli con largo anticipo da una sua paziente posta in stato di sonno lucido, durante una seduta di magnetizzazione.
[3] Paris, Le Symbolisme – Emile Nourry, 1927. Sullo stesso argomento il Wirth scrisse inoltre “Introduction a l’etude du Tarot”, Le Symbolisme, Paris, 1931 e “Les origines du Tarot”, Le Voile d’Isis n° 26, 1912.
[4] Per la precisione, i Tarocchi di Besancon e i Tarocchi Piemontesi.
[5] Paris, Chamuel, 1891. Prima ediz. italiana Ed. Rebis, 2015.
[6] Indubbiamente alcune immagini dei tarocchi del Wirth (per esempio il Carro e il Diavolo) sono direttamente ispirate alle medesime lame disegnate da Eliphas Levi.
[7] Di questa importante trilogia rimangono Le Temple de Satan, La Clef de la Magie Noire e una parte di Le Problème du Mal, che non riuscì a completare.
[8] Paris, Chamuel, 1897. Prima trad. italiana “La Chiave della Magia Nera”, Ed. Rebis.
[9] “Clef absolue de la Science Occulte: Le Tarot des Bohémiens, le plus ancien livre du monde, à l’usage exclusif des Initiés”. Paris, Carré, 1889.
[10] Questo album, divenuto anch’esso notevolmente raro, reca il titolo: “Le Tarot des Imagiers du Moyen Age – Restitué dans l’esprit de son symbolisme par Oswald Wirth – Planches” (Le Symbolisme, Paris) e risulta curiosamente datato 1926, un anno prima del libro. Le planches, inserite in una cartella,sono 11 e su ognuna di esse sono riprodotte due immagini degli arcani.
[11] Nel 1975 la U.S.Games Systems realizzò un mazzo completo di 78 carte (“Oswald Wirth Tarot”), per il quale furono utilizzati questi 22 arcani maggiori, aggiungendo 56 arcani minori commissionati per l’occasione, cercando di riprendere e imitare lo stile del Wirth.
[12] “Histoire de la Magie”, Paris, 1965.
Tratto da Elixir n° 11 con il permesso delle Edizioni Rebis.