Non si può pensare di comprendere quella che fu la ragion d’essere del Gruppo dei Dioscuri se non si conoscono a sufficienza quali furono l’origine e le finalità del Gruppo di Ur, che fu assunto dai ”Dioscuri” quale principale ed indiscusso referente. Forse l’inatteso risveglio di interesse per il Gruppo di Ur sorprese perfino Evola, che pur ne aveva fornito l’occasione con la decisione di fare rieditare in tre volumi (Bocca, 1955-1956) gli scritti ad esso riferibili, sotto il titolo di Introduzione alla magia quale scienza dell’Io. Il titolo molto appropriato, scelto da Evola, mostra come il Gruppo di Ur si caratterizzasse per una forte vocazione alla”magia” che, nel linguaggio di Evola, ma non in quello, ad esempio, di Guénon, veniva a coincidere con la realtà stessa dell’iniziazione. Per questo sembrerebbe più corretto parlare di catena di Ur, perché il binomio magia-iniziazione sembra essere stato il principale se non l’unico collante che tenne insieme i sodali di quella “catena” magica.
Da dove proveniva questa netta ed incontestabile vocazione iniziatica del Gruppo di Ur? In ultima analisi da un personaggio rimasto, nella sua dimensione pitagorica ed iniziatica, altrettanto misterioso di quanto lo fu, nel dominio dell’ermetismo, la figura di Giuliano Kremmerz. Intendo parlare del pitagorico calabrese Amedeo Armentano, maestro del noto matematico fiorentino Arturo Reghini, che fu da lui personalmente iniziato.
Sulla enigmatica figura di Amedeo Armentano sappiamo oggi in generale molto di più, grazie alle fondamentali ricerche svolte dalla sua nipote Emirene e da Roberto Sestito. Per il fine specifico che mi propongo in questo scritto, sono particolarmente debitore di Gennaro D’Uva, il quale con la precisione dello storico e con la perspicacia di chi si trova in spirituale sintonia con la corrente iniziatica riavviata da Armentano, ha assolto egregiamente al difficile compito di far luce sui sottili fili che collegano alcune importanti iniziative esoteriche, individuali e di gruppo, intraprese grosso modo nel primo quarto del secolo scorso, all’azione iniziatica svolta da Amedeo Armentano. Uno di questi fili conduce al gruppo di Ur o, più esattamente, alla catena di Ur.
Apprendiamo dallo scritto di Gennaro D’Uva, La Magia e il Gruppo di Ur, contenuto ne suo lungo articolo Il Pitagorismo magico ed iniziatico di Arturo Reghini, apparso ne “La Cittadella”(Anno VI, nr.11-numero triplo-Nuova Serie,luglio-dicembre 2006/gennaio-marzo 2007), dell’”esistenza di una ‘catena magica’ che non fu altro che il circolo reghiniano già operante nel 1926, da cui nacque la catena di Ur, che continuò ad essere attiva ben oltre il 1928, sopravvivendo quindi alla dissoluzione del gruppo di Ur, tanto che nel 1935 lo stesso Evola ritenne di indirizzare un aspirante ”verso Reghini ed il suo gruppo ancora attivo”(p.170). A riprova che la catena reghiniana, divenuta catena di Ur, non fosse l’unica proiezione iniziatica risalente, per il tramite di Arturo Reghini, al Maestro calabrese, D’Uva precisa che il circolo (catena) reghiniano del 1926 non deve essere confuso con l’Associazione Pitagorica, emanazione diretta della Schola Italica di Armentano”(p.169).
Da queste risultanze, che semplifico ma che D’Uva ha precisato nei particolari, spicca sullo sfondo la figura del Maestro Calabrese, vero Deus ex machina della rinascita magico-pitagorica verificatasi in Italia al principio del secolo scorso (la risorgenza magico-ermetica fu invece dovuta a Giuliano Kremmez).
Che sullo sfondo della catena di Ur giganteggiasse la figura del Maestro calabrese è una realtà che è rimasta praticamente ignorata fino all’apparizione dello scritto di D’Uva che ho menzionato. Quando tutto di tale vicenda sembrava trascinato nelle rovine della disfatta militare, avvenne che nella seconda metà degli anni ’60 una parte dei giovani fortemente influenzati da Evola decise di dar vita ad una compagine analoga a quella, ormai conosciuta come Gruppo di Ur, fondandosi sulle famose monografie fatte ripubblicare da Evola. Venne così a costituirsi il Gruppo dei Dioscuri, nel senso di consacrato ai Dioscuri o posto sotto la tutela di Essi. La scelta di questa denominazione fu dovuta al dottor Placido Procesi, medico di Evola e figura di spicco negli ambienti esoterici romani. Felice intuizione, come di fatto conferma Elysius, il quale ci ha trasmesso alcuni approfondimenti sul tema dei Dioscuri, tratti da alcuni scritti poco noti della Tradizione magnogreca, della quale egli si è reso nel tempo fervido e devoto indagatore. Ne riportiamo di seguito taluni punti salienti sull’argomento che ci interessa.
“DIOSCURO”: Sacro difensore delle Curie. Dioscuro e Qurino è la voce stessa. Dios- Curiae cioè il Dio difensore delle Curie arcane. I Quirini ed I Dioscuri avevano diritto al viatico apollineo cioè al cibo urbico.
“DIOSCURI”: erano i figli delle Curie, altrimenti Dioscuri. Curio era il sovrano. Cureti erano quei sacerdoti iniziati ai misteri di Cerere. Noi abbiamo la Fratria dei Dioscuri, né sappiamo se fu la stessa degli Eumelidi. La voce Dioscuros è pimandria Dios-Curios, cioè divinità e Numi sorti dalle patrie Curie. Curia, Curios, Curos, Curoum sono sinonimi e valgono l’utorità patria sanzionata dalle Curie.
“EUMELE”: il nostro Eumele rappresentava il mistero, era il Nume che presiedeva alle iniziazioni ed agli dei tribuli: ossia la podestà sacerdozia regolatrice di tutte le umane operazioni.
“EU-MELE”: Ossia il Divo Tenebrore divinizzato. E questo Eumele fu il genitore della nostra arcana Partenope. La fratria degli Eumelidi era la prima, ed era anticamente a Piazzetta Nilo, consacrata al Sole e a Giove”.
Questo a titolo di utile approfondimento. Tuttavia, per ora, interessa soprattutto puntualizzare che l’atmosfera storico-culturale nella quale germinò, nella seconda metà degli anni ’60, l’idea di dar vita ad una compagine magica (nel senso evoliano) era del tutto diversa da quella respirata nel suo tempo dalla catena di Ur ed ancor più da quella, ad essa antecedente, che si identificava con l’epoca in cui fu massimamente attivo l’impegno di Reghini e dei suoi sodali.
All’epoca della nascita del gruppo dei Dioscuri le ideologie dominanti erano, a grandi linee, quelle divenute dominanti nel secondo dopoguerra e cioè quella cattolica e quella marxista, le quali erano principalmente ostili a che prendesse consistenza, in Italia, non solo un qualsiasi pubblico ideale autoctono o patrio, ma anche qualsivoglia forma diversa di ”pensiero forte”, premendo loro
soprattutto di educare gli Italiani ad essere dei bravi democristiani o dei bravi marxisti. Ma sembra che così facendo sottostimassero “L’itala gente delle molte vite”, che talvolta ha la memoria più lunga di quanto comunemente si ritiene. Prova ne sia l’inatteso successo di pubblico delle opere di Evola che venivano in quegli anni pubblicate e che determinarono nella vita culturale italiana proprio l’irruzione insospettata e temuta di una forma autentica di pensiero forte.
Il clima culturale fortemente marcato da un autore del calibro di Evola, che oltretutto era un esoterista di alto rango, costituì per il gruppo romano dei Dioscuri un’ autorevole e naturale retroterra ideologico , con i suoi pregi ma anche, a mio parere, con i suoi limiti.
Frattanto si iniziavano a riscoprire le idee di Amedeo Armentano e di Arturo Reghini, fautori di una Tradizione mediterranea, della quale non si parla nelle opere di Evola, se si prescinde dall’originaria edizione italiana di Imperialismo pagano, poi sostanzialmente ritenuta superata dallo stesso Autore. L’idea di una Tradizione mediterranea, italico-romana, era invece destinata a suscitare un crescente interesse in alcuni ambienti sulle due sponde dello Stretto di Messina, trovando accoglienza inizialmente in una filiazione del gruppo romano dei Dioscuri. I suoi promotori si proposero di agire con la formazione di due gruppi operativi: l’uno interno, “Il Collegio Romano“, comprendente dodici membri (Collegio fondato in Giano) e la sua emanazione quale Ordine (Orma-Roma), con sottogruppi detti ”case”. Dell’Ordine fecero parte, ciascuna per periodi più o meno lunghi, più di un centinaio di persone; le riunioni avevano luogo in una villa in montagna una o due volte la settimana. Sia il Collegio che l’Ordine fiorirono fino al 1979, quando tale ambiente attraversò un periodo di turbolenza, al quale pose fine il riaffermato equilibrio romano di Salvatore Ruta. Egli, riprendendo la via maestra dell’impegno esoterico e del culto romano-italico, costituì il centro Arx, con tre livelli di azione: 1) culturale, con pubblicazioni e conferenze; 2) esoterico, con operazioni di gruppo; 3) esoterico, con operazioni individuali; dal 1984 pubblicò il trimestrale “La Cittadella” che ancor oggi, in filiazione diretta, prosegue le pubblicazioni sotto la direzione culturale di Sandro Consolato. Frattanto si era determinata la fusione di Arx con il Collegio sopra menzionato, dando vita ad una Curia fondata in Giano e Flora.
Tornando alle monografie di Ur ristampate per volere di Evola, sembrò a molti del tutto naturale incasellarle nella poderosa Weltanschauung evoliana che, attraverso la ristampa delle sue opere e la pubblicazione di nuove, veniva acquistando una crescente notorietà e si prestava a fare da cornice dottrinale alle attività del neonato gruppo dei Dioscuri.
Tuttavia il carattere felicemente sincretistico di quelle monografie non era sufficiente, agli occhi dei ricercatori più agguerriti, a nascondere che il fatale dissidio tra Evola e Reghini, che aveva dilacerato la catena di Ur, altro non era che la proiezione umana di un contrasto che veniva sempre più affiorando tra la visione del mondo evoliana, che si reputava essere la più consona a far da cornice a quelle monografie e quella, altrettanto importante, veicolata da Arturo Reghini.
Può essere utile, a questo punto, qualche riflessione sul genere di pratiche che venivano coltivate all’interno di quella che nacque, lo si è visto, come filiazione messinese del gruppo romano dei Dioscuri, giuste le notizie fornite al riguardo da Elysius, assai bene informato, per conoscenza diretta, di queste vicende.
Colpisce innanzitutto che rispetto agli esercizi magici tratti dalle monografie di Ur, un elemento nuovo fosse costituito da un forte interesse verso “una pietas nel tempo attuale”, che si articolava nelle forme del culto privato e del culto pubblico; particolare attenzione veniva rivolta al dio Giano, sia sotto l’aspetto dottrinale che cultuale, mentre la stessa operatività ermetica veniva inquadrata nei parametri della spiritualità romano-italica. E’ significativo notare che questo gruppo ha lasciato dietro di sé, quale testimonianza dell’intensità e della direzione del suo impegno, un vero e proprio manuale di culto esoterico, intitolato La via romana degli Dei (poi precisato, più opportunamente, come La via romana agli Dei). In esso si scorge il lievitare dell’interesse iniziatico
verso la Tradizione romano-italica, che caratterizzerà sempre più questo ambiente, secondo uno svolgimento che è ancora lungi dall’essere terminato e che comporterà sempre più l’esigenza di una spiritualità autoctona, ben radicata nell’antico mondo mediterraneo, accompagnata dal rifiuto di qualsivoglia tendenza a delocalizzare verso popoli e mondi alieni le radici della Tradizione. Un compito alquanto arduo e che comunque sembra porsi in eroico antagonismo contro le tendenze ad una crescente globalizzazione oggi imperanti.
Molto impegnativa era la parte concernente le pratiche risalenti al gruppo di Ur, che così riferisco in sequenza: concentrazione e silenzio - pratiche sul fuoco visibile - pratiche sul fuoco invisibile - pratiche sul pensiero cosciente - osservazione diuturna dei precetti insiti negli “aurei detti di Pitagora”, con la recita ogni mattina dei medesimi – liberazione delle facoltà - rilassamento e pratiche di respirazione con vari ritmi graduali - traslazione del senso di sé nella regione del cuore - ascesa e discesa del Sole di mezzanotte prima del sonno ed al mattino - evocazione, coltivazione e liberazione (indurre o proiettare) di un sentimento e un pensiero - evocazione più volte nella giornata del silenzio mentale - pratica e conoscenza dei ”simboli”nel corso della giornata - distacco pieno e cosciente creando una diversa polarizzazione del corpo fluidico rispetto a quello fisico - visualizzazione nel corso della giornata dei simboli della catena, del pentagramma - istruzioni di catena -tecniche di avviamento alla magia secondo Giuliano Kremmerz - concentrazione prefrontale - silenzio, respiro ritmico - spostamento del corpo sottile - ritmo luminoso della respirazione prima di addormentarsi - Estasi filosofica con le varie fasi (per gradi).
Non è difficile riconoscere all’interno delle pratiche di Ur alcuni elementi appartenenti alla spiritualità romano-italica. Basti pensare alle pratiche sul fuoco, che rinviano implicitamente al fuoco di Vesta, alla pratica dei versi aurei di Pitagora,all’importanza del pentagramma (il Pentalfa della tradizione pitagorica), ecc.
Sarebbe interessante una attenta ricognizione delle pratiche contenute nelle monografie, diretta ad individuarne le fonti, al fine di verificare l’incidenza delle due maggiori personalità presenti dentro o dietro il gruppo di Ur (Evola e Reghini). Se si ha presente la ricostruzione della genesi della catena di Ur effettuata da D’Uva, un particolare e caratterizzante rilievo acquistano gli scritti di Luce (Giulio Parise), in quanto discepolo di Arturo Reghini, a sua volta discepolo di Amedeo Armentano. Si avrebbe così la seguente filiazione: Armentano > Reghini > Parise, che potrebbe fornirci qualche indicazione sulla trasmissione del nocciolo della iniziazione armentaniana. Purtroppo, considerato che
Armentano impartiva una iniziazione “reale” e non soltanto “virtuale”, come ebbe a sperimentare personalmente, in modo drammatico, Arturo Reghini, deve supporsi che, uscito di scena Armentano, di tale iniziazione reale si sia trasmesso soltanto un raggio sempre più debole, in conformità alla legge di crescente involuzione animica che, malgrado il continuo incremento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, affligge l’umanità della nostra epoca spiritualmente oscura.
Tratto da Elixir n. 9 con il permesso delle Edizioni Rebis