“…forse verrà il giorno in cui gli uomini
sapranno adorare Dio in spirito;
allora non avranno più bisogno di templi;
allora non avranno più bisogno di miti
per simbolizzare l’opera del pensiero divino;
allora non avranno più bisogno di immagini
che rappresentino i diversi stati della Sua potenza;
allora non avranno più bisogno di scritture misteriose
che traducano il senso segreto della Scienza divina
a coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per intendere.
Ma gli uomini non sono ancora arrivati a tal punto,
e tu, figlio degli uomini, hai bisogno di tutte queste cose “[1]
In numerosissimi articoli, libri, pubblicazioni varie studiosi, più o meno di attestata serietà, di diversificata provenienza ed estrazione culturale ed esoterica hanno cercato di offrire la propria interpretazione su cosa sia in realtà l’iniziazione, in cosa essa realmente consista. Come i lettori di Elixir ben sanno, le varie tesi sono spesso confliggenti tra loro e non suffragate minimamente da un riscontro storico-filosofico inerente ciò che l’iniziazione sia stata nelle varie fasi storiche dell’umanità, dalle antiche civiltà fino al giorno d’oggi. In un nostro articolo di qualche anno fa, pubblicato sulla rivista Vie della Tradizione[1], trattammo dell’iniziazione eleusina in riferimento, oltre che ai dati documentali, anche alla similitudine di essa con il mondo iniziatico egizio e con la dimensione della dottrina ermetico-alchimica, ponendo in evidenza come l’esperienza iniziatica e non devozionale del
Sacro si espliciti nella palingenesi animica dell’uomo (arcaico o moderno che sia), sentita e vissuta realmente come riscoperta, alchimicamente come riconquista, di uno status spirituale originario, conseguenza di una caduta, di una perdita di memoria di ciò che normalmente e noeticamente, nei primordi, si era. In riferimento alla misteriosofia egizia ed alle tre divinità più conosciute, Osiride, Iside e Horus, rappresentammo come il Dio, massacrato dal fratello – rivale Seth e privato dall’organo generativo, ebbe ciononostante il potere di generare, mediante l'azione vivificante della magia di Iside, Horus, il Falco Aureo, il Corpo di Splendore Vittorioso sulla materia e sul tempo, essendo l'essenza dell'Opera rituale la ricomposizione dell'unità del corpo di Osiride, divenendo in tal modo l'operatività iniziatica un ritorno metanoico verso l'Unità, una celebrazione della reintegrazione dell'Uno-Tutto, dell'Anthropos Originario. Il fine di codesto scritto, però, non è aggiungere la nostra interpretazione dell’iniziazione alle tante già esistenti[2], ma rievocare un percorso arcaico quanto attualissimo, direttamente connesso con quanto appena scritto riguardo alla misteriosofia egizia, poiché di essa rappresenta la linfa vitale, esprimendosi tutta l’importanza funzionale del simbolo, non solo visivo, ma anche narrativo e ieratico. Precisamente, si disquisirà sulle due opere a firma Isha Schwaller de Lubicz, pubblicate negli anni Cinquanta dello scorso secolo – Her-Bak Cecio e Her-Bak Discepolo – in cui il romanzo si rende splendido veicolo simbolico per penetrare, oltre la soglia profana del pensiero raziocinante, le radici profonde ed ancestrali dell’iniziazione misterica egizia, relazionandosi, come similmente faremo noi, alle ricerche ed alle scoperte sull’architettura sacra operate dal marito dell’Autrice, il celebre AOR, l’egittologo e alchimista R.A. Schwaller de Lubicz[3]. La duplice storia narrata da Isha è possibile rappresentarla come un vero e proprio avviamento al Tempio: un lungo cammino di qualificazione interiore, che dignifica il giovane Cecio per le virtù innate d’elezione e d’intuizione che nel corso della narrazione vengono evidenziate, ponendo il centro della stessa sulla dimensione eminentemente interiore delle esperienze di vita, non marginalizzandole a pure sovrastrutture legate all’ambiente, all’educazione od alla psicologia inconscia del personaggio. Tale predisposizione, ovviamente, è esaltata dalla funzionalità simbolica ed allegorica di ogni aspetto della civiltà egizia ove, come in ogni ortodossa struttura tradizionale, non può essere concepito un iato tra sacro e profano, tutte le componenti essendo organicamente inserite in una trama unica di consacrazione dell’esistenza tanto individuale quanto comunitaria. Cecio è, pertanto, figlio di un semplice coltivatore: egli viene sorpreso a curiosare oltre le alte mura di un tempio e, per l’arguzia dimostrata e colta da un alto dignitario, inizia un lento ma inesorabile cammino di consapevolezza, rendendosi pian piano conto del valore intrinseco di ogni frammento di vita, di come ogni apparente alterità esperienziale possa essere realmente un momento di autocoscienza, di esplorazione microcosmica di se stessi. Nello stesso significato del nome del protagonista è secretata l’essenza della propria personalità, Bak identificando il falco, animale spesso associato ad Horus, e Her è il nome e il volto dello stesso Horus e Cecio “è la traduzione del simbolo concreto di Her-Bak, attribuito al bambino che cerca la sua via, fino al giorno in cui il senso profondo di Her-Bak ‘volto di Horus’ diventerà la sua luce e il suo nome”[4]. I due romanzi in oggetto hanno, come facilmente intuibile, una stretta connessione con le fasi graduali di un autentico e rigoroso ascenso ermetico, che si caratterizzano come precisi processi di autocoscienza, ma dipingono anche uno splendido affresco dedicato ad una delle più fiorenti civiltà del passato, per via di una grandezza che non va misurata con la quantità di oro con cui adornava i propri palazzi o in base alla maestosità di templi e piramidi, ma per la semplicità con cui un intero popolo seppe condividere con gli Dei la bellezza ed il silenzio della Natura: “Un membro della nostra civiltà di transizione, meccanizzata e decadente, soffrirebbe di questa vita semplice ed assai più vicina alla Natura, se dovesse improvvisamente ritornare allo stile di vita di questo antico popolo nilotico raggruppato attorno al Tempio. Questo è un’isola di pace serena per gli uomini di buona volontà”[5]. In Her-Bak Cecio si attua una trasmutazione propedeutica della personalità del neofita in cui la propria natura, i segni distintivi della propria condizione umana, familiare e sociale emergono nella loro funzionalità, esplicitando tutta la portata trasfigurante a cui gli stessi sono predisposti. Il contatto con la Terra, che deriva dalla stessa occupazione genitoriale; la conoscenza dei ritmi della Natura, dei ritmi delle maree che condizionano e regolano la coltivazione; il volo periodico e cadenzato di una specie di uccelli sono momenti della narrazione in cui Cecio acquisisce un nuovo modo di percepire e vivere il mondo circostante, in cui inizia a sentirsi parte integrante di un Cosmo dinamico, diversificato, molteplice, ma sempre organicamente unitario. Le esperienze diversificate del giovane neofita sono tutte mirate a contemplare tale realtà: dal fenomenico possono indurre a varcare le soglie del noetico, ad annullare le distanze illusorie di visione e di coscienza che ogni uomo ordinario, nel vivere quotidiano, reputa normali ed insospettabilmente false. Pertanto la pesca, la semina e la mietitura, l’allevamento, come anche l’osservazione del dio Nilo, divengono strumenti formidabili per connettersi con le variegate dimensioni del mondo animale e di quello vegetale: è il primo contatto oltre l’umano, è l’espansione sottile alle sfere prima ignote dell’organico. In tutto ciò, nelle trasformazioni naturali, in quelle apparenti come nell’esistenza reale degli elementi, si coglie il senso profondo dei Neter, degli Dei, si coglie tutta la sacralità della loro funzione organica: “Io ti dirò la parola che è stata il tesoro della mia vita; un giorno, quando ancora possedevo la vista, un Saggio attraversò la mia strada, mi disse: ’CIO’ CHE VUOI SAPERE CHIEDILO ALLA NATURA’ ”[6]. Tale dimensione può essere fecondamente ricollegata ai significati arcani connessi con l’Astro Lunare e, di seguito ed in maniera sintetica, a quelli dei Pianeti. I cicli naturali ad Essa riferiti (come, per esempio, il mestruo femminile o le maree) esplicitano la propria essenza simbolica nella direzione precisa che, attraverso il suo simbolo ○, è la potenza elementare demiurgica che non possiede né centro né determinazione. Nell’analizzare l’aspetto interno e spirituale del tema che ci siamo prefissi di trattare tutto ciò ritroverà dei riferimenti precisi, significativi ed alquanto chiarificatori di una componente cosmica e animica che non può essere dimenticata. Al contrario, proprio da una profonda conoscenza della dimensione lunare, considerandone tutti gli aspetti, non eliminandola ma sublimandone i principi, è d’obbligo che il ricercatore attinga la consapevolezza necessaria affinché il proprio percorso trasmutativo attraversi una delle sue fasi più importanti: “Questo campo è una passività di fronte ad un attivo, di conseguenza è un utero, perché nella natura visibile come nell’invisibile, per omologia, ogni azione produce una reazione, ma questa reazione non è un passivo per sé, ma la conseguenza di un attivo su di un passivo…chi riceve l’azione di luce è l’ombra, cioè la negazione della luce. Il risultato di questo contrasto è la visione, cioè l’apparire degli oggetti nella lotta tra attivo e passivo, tra luce e ombra”[7]. Altra esperienza fondamentale è quella che permette a Cecio di confrontarsi con la manipolazione della materia organica ed inorganica, mondi che solo formalmente possono apparire inanimati, ma che si riveleranno assolutamente pieni di vita, ove sia il mondo vegetale sia il mondo minerale fungeranno da scrigni sensazionali di nuove, intime, consapevoli trasmutazioni. E’ ciò che Cecio sperimenta nel suo impiego, prima presso un vasaio ed in seguito presso un falegname: la scoperta che un lavoro può essere un utile veicolo per conoscere la vera essenza degli elementi, che va ben oltre l’ordinaria utilità del momento, connettendo l’Artifex – quale qualificazione ben diversa e superiore rispetto al semplice artigiano – alle componenti basilari che compongono l’armonia cosmica, che non va ricercata nel pragmatismo, ma nell’elezione dell’inutile[8]. Il limite che Isha fa superare a Cecio, similmente a quanto esplicita nei suoi scritti Fulcanelli, è proprio il limite duale dell’apparenza fenomenica; ciò si conosce tramite un quid non spiritualmente vivente come un’acquisizione parziale e limitata, che non coglie globalmente l’effettività cosmica del reale, quasi facendo divenire irreale ciò che profanamente si presenta come unica manifestazione del reale, cioè il fenomeno: “…è precisamente questo che la differenzia (la chimica) dalla scienza ermetica…l’alchimia, rimontando dal concreto all’astratto, dal positivismo materiale al puro spiritualismo, allarga il campo delle conoscenze umane, delle possibilità d’azione e realizza l’unione di Dio con la Natura…”[9]. Il primo romanzo si conclude con l’accesso di Cecio, divenuto iniziaticamente Her-Bak, nel peristilio del Tempio, al culmine di una spoliazione lenta ma inesorabile, che ha inizio sin dalle prime pagine, concretizzantesi nell’affrancamento della visione del mondo e della vita dalla pura parvenza religiosa e dogmatica, in cui i Neter, le Divinità, dal popolo come dai sacerdoti del culto ufficiale vengono concepiti sia come qualcosa di superiore al semplice suddito, sia come qualcosa di estraneo e di inarrivabile dallo stesso. In tale senso, l’avvertimento del Maestro è perentorio quanto chiarificatore: “Cecio, non confondere il Tempio con i luoghi di culti, né il culto con la Conoscenza, né i sacerdoti con ‘coloro-che-sanno’”[10]. Il primo ascenso ermetico di Cecio, invece, ha il fine di cogliere tutta la familiarità esistente tra uomini, Neter e vera Sapienza, di cogliere e di assumere nell’intima personalità del neofita la forza magica, la potenza che ogni Neter esprime analogicamente tanto nel microcosmo quanto nel macrocosmo, al di là dei primi insegnamenti impartiti nel Tempio, che appaiono al ragazzo troppo formalistici e scolastici. Tale indirizzo palingenetico pone il ricercatore al di là della ufficialità religiosa e politica, che lo stesso Faraone rappresenta. A tal punto, è d’uopo riferirsi ad uno dei capitoli più importanti di entrambi i romanzi, cioè a dire La Notte del Neter[11], in cui il novizio viene condotto in una camera oscura, consistente in un naos contenente il volto di Ptah, ove trascorrerà l’intera notte in meditazione. L’introspezione sarà lunga, dolorosa, piena di interrogativi, ma uno slancio di volontà amplierà ulteriormente la visione di Her-Bak, che culminerà col rimanifestarsi del Maestro:
“Io so ciò che hai fatto. Il Neter che tu cerchi è dentro di te!
Tu sei il suo vero Tempio.
Ma, per saperlo, bisogna osare rinnegare tutto ciò che non è la Sua Realtà.
Bisogna discernere ciò che è distruttibile e ciò che non lo è.
L’immagine è distruttibile, ma pochi uomini possono farne a meno;
essa è sacra per coloro che le affidano la propria fede.
Per costoro noi la rendiamo più efficace tramite un influsso magico,
poiché bisogna aiutare l’uomo secondo la qualità della sua ricerca;
la reazione della folla non è quella dell’uomo cosciente.
Felice colui che rinuncia alle soddisfazioni dell’apparenza per trovare l’Assoluto!”[12].
La straordinaria trasfigurazione a cui abbiamo accennato segna, di fatto, sia il passaggio dal primo al secondo romanzo, sia l’entrata di Her-Bak, ormai discepolo, nella parte interna del Tempio, destinata agli insegnamenti misterici più riservati. Il legame del Tempio con le esperienze dell’anima umana è più profondo di quanto si possa pensare. Nel secondo romanzo Isha connette l’espressione artistica ed architettonica non con una teologia (ergo un discorso sul Divino), ma con la Teosofia, quindi la conoscenza del Divino, che presuppone vi sia un’identificazione diretta con la sfera del Sacro, che con il simbolo viene resa accessibile a coloro i quali sanno riconoscersi, sanno risvegliarsi tramite gli
enigmi, le allusioni geroglifiche di un’iscrizione, di un dipinto, di una cifra: “La Qualità ‘in sé’ non è percettibile ai sensi; è l’Inconoscibile, e non possiamo dargli un nome. Tuttavia gli iniziati sanno che le nostre lettere esprimono, in quanto Numeri, diversi aspetti della Qualità pura”[13]. Anche l’ordine, la maestosità, il silenzio di una costruzione, di un tempio come di una cattedrale, sono espressioni della Scienza Ermetica, che tramite l’Artifex rappresentava, fino alle soglie della modernità, un unicum nella sua funzione di manipolatore della materia inerme, di rappresentatore della Natura e del Mondo, di narratore delle passioni, delle lotte e dei superamenti dell’uomo: funzioni che sono andate desacralizzandosi e, parimenti, profanamente differenziandosi nelle figure dell’artigiano, del pittore o dello scultore e del poeta… Ars sine scientia nihil! La contemplazione pitagorica di ciò che il Tempio inizialmente cela al discepolo, la dottrina dei simboli e la vera natura dei Neter, come delle componenti psichiche dell’Uomo, sono il fulcro della conoscenza iniziatica che, tramite le manipolazioni, le espressioni figurative del Tempio, ma anche dell’Uomo, offrono gli idonei supporti per la via d’ascensione al Divino esplicitando come l’operatore ermetico sia egli stesso non una semplice rappresentazione, bensì un realizzatore nel Mondo di realtà conquistate in sé: “L’uomo, sintesi di tutte le possibilità funzionali della Natura, rappresenta allora il seme universale della Natura stessa. Per questo motivo l’uomo, nelle sue proporzioni – e anche nelle sue variazioni durante la crescita -, è una sintesi delle proporzioni, dei movimenti e della crescita dei corpi celesti. Egli non può essere altro che l’unità di misura del proprio Universo”[14]. Per tale motivo, gli spunti di riflessione che abbiamo sinteticamente colto[15] ci impongono una riflessione finale sul significato esoterico del Tempio Egizio, così come magistralmente inteso da R.A. Schwaller de Lubicz nella sua opera principale, Il Tempio dell’Uomo. In seguito a tali studi è possibile ritrovare il valore tradizionale che assumevano e che dovrebbero ritornare ad assumere le diverse discipline artistiche nei loro riferimenti archetipici, onde ritrovare una straordinaria coincidenza di percorsi in ciò che è sempre stata considerata l’arte per eccellenza, cioè l’Arte Regale; per far ciò, non si può che iniziare evidenziando l’estrema importanza ricoperta nell’Antico Egitto dall’architettura sacra legata ai templi come dimore di Numi, presenti nelle statue del culto, e non come semplici luoghi di riunione dei credenti per le pratiche liturgiche comuni[16], bensì come centri vitali della fides di una stirpe verso i propri Dei, veri omphalos del Sacro e del Politico, meravigliose rappresentazioni dell’Ordine Cosmico: “Questa vita del simbolo, il suo esoterismo, si identifica con questa vita, che è la Realtà; permette che ciò che fu, in quanto avvenimento cosmico e storico, persista effettivamente in noi a partire da questo momento, perchè è l’esperienza della nostra coscienza, la coscienza dell’Uomo Cosmico che è in noi…”[17]. Su questa traccia è importante analizzare quanto ha scritto similmente Karl Kerényi sull’essenza del tempio greco[18]. Esso veniva concepito come uno spazio angusto (naos, la cella), ove né devoti né celebranti possono trovare
comodità, tanto che l’Elleno nel momento del sacrificio si volgeva verso l’esterno, con la struttura dietro le proprie spalle. Si tratta solo di un’apparente contraddizione, perché il luogo di culto non veniva considerato come limitante per la divinità e il suo potere, ma come centro irradiantesi nel mondo, quindi l’uomo che dal tempio, cioè dall’Origine, riconosce la presenza noetica nella Manifestazione. Ritorna qui il concetto ermetico dell’En to pàn, dell’Uno-Tutto, dell’Unità armonicamente ordinata delle varie potenze della Natura e dell’anima. A tal punto si determina un’identità tra uomo, tempio e Neter, e come nell’uomo, la misura delle cui membra è condizionata da regole interne, così le membrature del tempio crescono gradatamente secondo proporzioni determinate. Si rivela la potenza autarchica della struttura, condizionata dalla figura umana: il Tempio come un Uomo, che è trasfigurazione del Cosmo[19]. Le decorazioni, i fragili meandri, le fiorenti volute non sono ornamenti morti, ma espressioni mediatrici di tutto l’edificio, quasi a rafforzare il “kosmos del tempio”, cioè l’ordine interno e la decorazione esterna. Exotericamente vi è un Tempio materiale, ove si conducono i fedeli in preghiera; esotericamente vi un Tempio spirituale, in cui l’oggetto della contemplazione dello sguardo divino è il cuore dell’uomo. Ecco l’aspetto essenziale della costruzione e dell’opera dell’artifex, la trasmutazione del Deus absconditus in Deus revelatus., cioè il concepimento della riedificazione del Tempio spirituale nella propria interiorità: “L’Imago Templi si offre allora al visionario perché questi, ritirandosi nel suo xangah, nel santuario del suo microcosmo, possa ricordarsi della sua origine”[20]. Bisogna intendere l’Opera come un centro che racchiude, avvolge e contiene ogni cosa, similmente al nostro cuore, che è il centro ove convergono tutte le facoltà animiche e spirituali dell’uomo: così ogni Tempio è un’immagine del Tempio esistente a livello più profondo o superiore ed ogni Opera artistica diviene essenzialmente Opera Rituale, sia per chi, come l’artista, la concepisce e la realizza, sia per coloro che nel Tempio, negli insegnamenti nascosti, ricercano la connessione delle varie parti: “Col simbolismo degli oggetti e dei gesti in immagini si può, senza lunghe frasi, definire una scrittura che colleghi tutte le funzioni viventi tra loro, ed esprimere così una metafisica essenziale con le manifestazioni sensibili della vita”[21]. L’essenza del simbolo che ricollega e sublima ogni espressione ad un’esperienza magica, ad un’ermetica affermazione di diversi ma ben stabiliti stati di coscienza, è tale da poter condurre il discepolo a maturare e realizzare quell’alchimica trasmutazione dell’Intelligenza cerebrale in Intelligenza del Cuore: “Si tratta soprattutto di coltivare questo coraggio e questa intrepidezza nelle intime profondità della vita del pensiero…Quando l’uomo possiede fino a un determinato grado le qualità descritte, egli è maturo per conoscere i veri nomi delle cose che sono la chiave del sapere iniziatico”[22]. Emerge con forza la necessità di un’adeguata dignificazione, di un reale mutamento ontologico che deve attuarsi in chi ”costruisce e conquista l’Opera” e in chi la contempla, affinché possa risorgere il Sole spirituale ed il Tempio interiore possa essere nuovamente edificato, acquisendo quella potestas clavium che, sola, ha la capacità di aprire la Porta che conduce alla Civitas Dei: “Perciò ogni Tempio, cioè ogni individualità umana, è l’Universo, visto non sotto un angolo particolare, ma in una fase della sua genesi, sempre situata nella genesi totale…”[23]. L’etimologia del latino templum, d’altronde, denota, più che un luogo di presenza, un luogo di visione, cioè un mezzo per la contemplazione del Divino: è il mirare il Tempio Cosmico come Athanor, in cui l’operatore alchimico risveglia e sperimenta i Neter che naturalmente in sé possiede, in uno stato potenziale dormiente e non intensivamente magico ed attivo. Infine ci preme evidenziare un aspetto che, personalmente, riteniamo fondamentale per tutti coloro che vorranno affrontare l’avventurosa lettura dell’ascenso ermetico di Cecio Her-Bak: Isha Schwaller de Lubicz nella sua narrazione non ha inteso rappresentare una data civiltà del passato, non ha voluto raccontare le vicissitudini di un fantasioso personaggio arcaico con un alone mistico di fumosa sacralità o di archeologia occultistica, così in voga oggigiorno, ma, tramite la funzione magica del simbolo che primariamente all’Antico Egitto va necessariamente riconosciuta, ha ispiratamente declamato l’Uomo, l’aspirazione dello stesso all’emersione del Divino che lo informa. E, per questo, la sublime trasmutazione alchimica di se stesso, la trasfigurazione e l’ascensione del Divino, che è vita, sangue e pensiero del Tempio – Uomo – Neter, che lo ha reso manifesto e che può renderlo coscientemente immortale: “Il figlio è formato da noi, non con un atto di creazione, ma estraendolo da quelle cose in cui è con la cooperazione della natura, in modo meraviglioso e con un’Arte sagace“[24].
1] Luca Valentini, Il ciclo delle generazioni e la palingenesi animica nella misteriosofia antica, in Vie della Tradizione, n. 146, Maggio – Agosto 2007, p. 100ss.
[2] In merito riteniamo valida l’indicazione fornita da Giuliano Kremmerz, che con molta semplicità sgombra il campo dalle nubi dell’occultismo misterioso o delle fantasticherie medianiche o neospirituailste, in Elementi di Magia Naturale e Divina, La Scienza dei Magi, vol. I, pp. 140-141, Edizioni Mediterranee, Roma 2003: ”L’INIZIAZIONE nella pratica è il complesso di tutte le operazioni che un Maestro Perfetto può fare su un discepolo per concedergli, conferire, confermare e sviluppare le virtù ascose nel suo organismo di uomo volgare”.
[3] Importanti ed interessanti notizie biografiche, anche sull’apporto della figlia Lucie Lamy, è possibile reperirle nell’appendice al testo Verbo Natura, Edizioni Tre Editori, Roma 1998, dal titolo R.A. Schwaller de Lubicz ed i Misteri dell’Egitto, a cura di Thèrèse Collet.
[4] Isha Schwaller de Lubicz, op. cit., dalla Premessa , p. 22.
[5] R.A. Schwaller de Lubicz, La Scienza Sacra dei Faraoni, Edizioni Mediterranee, Roma 1999, p. 174.
[6] Isha Schwaller de Lubicz, op. cit., p. 98.
[7] Giuliano Kremmerz, La Porta Ermetica ne La Scienza dei Magi, vol. II, Edizioni Mediterranee, Roma 2003, p. 239.
[8] Isha Schwaller de Lubicz, op. cit., p. 204, in cui è possibile cogliere la necessità di un vero mutamento d’orizzonte, ove ciò che prima risultava essere importante e vitale successivamente non lo è più, non perchè la sfera dell’esperienza fenomenica perda d’effettività, ma perchè il Sacro impone il dominio, la giusta preminenza della Qualità sulla quantità: ”Un ornamento utile non è arte: l’Arte pura comincia con l’Inutile. La ricerca della perfezione non è necessaria alla vita terrestre: è un lusso inutile e divino. Ecco perché il senso dell’Inutile è il senso degli Eletti”.
[9] Fulcanelli, Le Dimore Filosofali, vol. I, Edizioni Mediterranee, Roma 2002, p. 77.
[10] Ibid., p. 240.
[11] Ibid., op. cit., p. 361ss.
[12] Ibid., op. cit., p. 368.
[13] Isha Schwaller de Lubicz, Her-Bak Discepolo, Neri Pozza Editore, Vicenza 2000, p. 62.
[14]Ibid., p. 115.
[15] Era assolutamente impossibile compendiare in un singolo saggio tutti gli spunti di interesse dei due romanzi in riferimento, in particolare quelli inerenti la cosmologia, la simbologia e la dottrina dei diversi stati di coscienza così come intesi dalla Sapienza Egizia, che l’Autrice ricomprende, anche tramite un commentario in appendice, soprattutto in Her-Bak Discepolo.
[16] R.A. Schwaller de Lubicz, Il Tempio dell’Uomo, vol. 1, Edizioni Mediterranee, Roma 2009. Nella prefazione all’edizione italiana, a cura del compianto Paolo Lucarelli, p. XXV, è importante evidenziare un commento che, saggiamente, pone una separazione tra ermetismo e misticismo, e ciò proprio in merito alle conoscenze magiche che una certa iniziazione egizia deteneva: ”Tutto ha una sua funzione, nulla è gratuito, inutile orpello, ornamento fine a se stesso. La scienza, l’unica vera, quella Sacra, mira dovunque al rapporto armonico col Divino…In questo senso, l’Egizio più antico parrebbe davvero ‘ermetico’, nel suo essere più un fisico che un mistico…”.
[17] Ibid., vol. 1, p. 57.
[18] K.Kerényi, Che cos’è il tempio greco?, in Religione Antica, Edizioni Adelphi 2001.
[19] R.A. Schwaller de Lubicz, op.cit., vol. 1, p. 369-70: ”Ogni sala del tempio ha la sua misura propria, come ogni parte del corpo umano, come ogni luogo posto tra l’equatore e il polo del nostro globo. Attraverso il braccio e il cubito queste misure si unificano”.
[20] H. Corbin, L’Immagine del Tempio, Edizioni SE, Milano 2010, p. 154.
[21] R.A. Schwaller de Lubicz, op.cit., vol. 2, p. 322.
[22] R. Steiner, L’iniziazione, Editrice Antroposofica, Milano 1991, p. 60-1. Un indirizzo similare l’abbiamo parzialmente indicato nel nostro saggio Dell’Amore Immortale e la trasmutazione teurgica della volontà, anche se in tema reputiamo davvero illuminante e magistrale lo studio di Ivan Dalla Rosa La dinamica alchimica del pensiero magico: entrambi i testi sono stati pubblicati in Elixir n. 10, Viareggio 2011.
[23] R.A. Schwaller de Lubicz, op.cit., vol. 1, p. 68.
[24] Eireneo Filalete, L’entrata aperta al palazzo chiuso del Re, in Opere (a cura di Paolo Lucarelli), Edizioni Mediterranee, Roma 2001, p. 30.
(Tratto da ELIXIR n. 11 con l'autorizzazione delle Edizioni Rebis)
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[1] Isha Schwaller de Lubicz, Her-Bak Cecio, Neri Pozza Editore, Vicenza 2003, p. 255.