Introduzione all’opera
“La Chiave della Sapienza Ermetica”
di R. Donato
Questo libro nasce come una testimonianza di amore per la Sapienza degli Antichi, un amore che ha condotto Riccardo Donato, nell’arco di molti anni ed a prezzo di molte fatiche e di pesanti sacrifici, a “rincappiare” (l’espressione è di Giustiniano Lebano) il filo che conduce fino a noi questo deposito sapienziale che rischiava di andare interamente perduto.
Se cerco un altro esempio di tal genere di amore, la mente mi corre a Vincenzo Capparelli, il quale era solito alzarsi dal letto in ore antelucane, prima di aprire il suo studio di odontoiatria, utilizzando le ore rubate al sonno per restituire ai contemporanei, ravvivato dall’afflato della sua intima partecipazione, il tesoro della antica sapienza pitagorica.
Così Riccardo Donato, anch’egli aduso a sacrificare ore di sonno per trascrivere e riordinare il materiale dei Maestri della Scuola di Napoli, raccolto contattando ambienti umani talora insensibili nei confronti di questa ricerca, oppure diffidenti se non apertamente ostili. Una ricerca che lo ha condotto perfino a recuperare documenti abbandonati all’umidità in locali disabitati se non addirittura esposti per una totale incuria alle intemperie del clima.
L’Autore non appartiene al genere di coloro che si contentano di relegare i documenti preziosi in fondo a un cassetto, senza leggerli né tantomeno studiarli e quindi, in definitiva, senza trarne alcun beneficio, né per sé, né per gli altri. Al contrario, Donato desidera sollevare, a beneficio dei seri ricercatori, almeno un lembo della cortina che rende impenetrabile il messaggio degli Antichi, ri-velato e cioè nuovamente velato dai Maestri moderni di quella stessa Tradizione. In tale prospettiva deve essere inteso questo lessico di voci arcane, come momento di una strategia esoterica intesa a riproporre a beneficio dei nostri contemporanei i tesori di un’antica e praticamente dimenticata Sapienza. La soluzione scelta dal curatore per una “iniziazione” al difficile argomento è pienamente condivisibile. Partendo infatti dal riferimento ad un altro Maestro della medesima Scuola, Giuliano Kremmerz, le cui opere[1] sono sufficientemente note ad un pubblico sensibile al loro richiamo sapiente, Donato ha pensato di compilare un lessico di argomenti particolarmente significativi, introducendo, in apertura di ogni singola voce, uno scritto di Kremmerz in funzione di “chiave” per aprire l’accesso al linguaggio più “chiuso” di Domenico Bocchini e di Giustiniano Lebano. Compito difficile perché richiede nel lettore l’agilità mentale necessaria per passare ogni volta da un registro di lettura ad un altro, compiendo un salto che può comportare una sorta di spaesamento rispetto alle nozioni ormai acquisite. Di più e di meglio del ricorso ad una comparazione con gli scritti del Kremmerz, rebus sic stantibus, non si poteva fare e comunque non deve essere dimenticato, perché si attaglia anche al nostro caso, l’avvertimento che Julius Evola indirizzò ai lettori della ristampa, da lui modernizzata per agevolarne la lettura, del non facile libro di Cesare della Riviera, Il mondo magico degli Heroi: “In ogni caso non si tratta di un libro di amena lettura, ma di un libro di studio – anzi: di un libro da lavoro”[2]. Le singole voci del lessico risalenti a Lebano ed a Bocchini rivelano al lettore l’esistenza sorprendente di un gergo, o meglio di un particolarissimo gergo che si distanzia dalle normali regole semantiche per richiamarne altre, obbedienti ad un canone interpretativo per il quale la comune filologia, malgrado i suoi pregi di erudizione e di esattezza, si rivela inadeguata ed insufficiente. I semplici “grammatici”, infatti, son relegati, in tale sorprendente contesto ermeneutico, al gradino più basso della scala degli interpreti cui fare ricorso per attingere la comprensione del linguaggio classico degli Antichi. La sorpresa aumenta allorché ci si accorge di trovarsi in presenza di un linguaggio iniziatico che sembra estendersi al di là della Magna Grecia, ove sembra avere avuto la sua culla, ad altri territori che si affacciano sul Mediterraneo. J.-F. Gilbert, presentando e commentando la stampa di un manoscritto di Pierre Dujols, figura di primo piano nell’affaire dell’alchimista Fulcanelli, ci informa che (traduco) “Dujols ci spiega come i misteri greci, la conoscenza teurgica dei templi d’Egitto, l’alchimia alessandrina poterono protrarsi al di là dell’autodafé, le repressioni e gli assassinii, adottando la lingua felina, la lingua saffica: il Trobar-clus ovvero il “parlare chiuso”[3]. Di questo parlare i linguisti schernirebbero con orrore le libertà semantiche, strutturali e grammaticali, le associazioni sfacciate, i barbarismi insolenti e, in conclusione, l’abuso che viene fatto della lingua greca”[4].
Ed ancora, più oltre, lo stesso commentatore rileva che “il manoscritto di Dujols pone in dimensione permanente e come metodo di esegesi tradizionale un rapporto logos-sofia e mistica-immagine da cui discende una linguistica di ordine analogico senza rapporto – a priori – con la linguistica classica [ovvero intesa nel significato consolidato del termine]”[5]. Mi sembra che queste citazioni si attaglino anche al linguaggio “aporrezio” di Bocchini e Lebano e possano servire, per il lettore, ad indicargli un altro possibile percorso di approccio al “parlare chiuso” dei Maestri della Scuola di Napoli. La distanza di un tale parlare dalle regole e dalla mentalità della filologia ordinaria ha indotto Donato a non dilungarsi nelle note, inserendo sobriamente nel testo il minimo degli indispensabili richiami alle opere utilizzate, anche per la evidente impossibilità di diffondersi nei riferimenti a manoscritti tuttora rimasti inediti, ma tuttavia di sicura attribuzione, stanti le loro evidenze grafiche ed i relativi inconfondibili stilemi e contenuti, riconoscibili facilmente anche nelle opere a stampe dei medesimi Autori, oggi disponibili. Per fornire comunque una panoramica di tutto il materiale trattato, il curatore ha posto in appendice una bibliografia delle opere citate. Probabilmente i filologi di mestiere storceranno il naso di fronte ad un “apparato critico” che riterranno insufficiente, Al che, pur riservando a questa categoria di studiosi tutto il rispetto che merita, sarà facile obiettare che il lavoro di Donato ha un carattere inevitabilmente pioneristico, per la novità dei contenuti e del metodo con il quale li ha trattati, mosso soprattutto da quell’amore di cui si diceva all’inizio e che si preoccupa principalmente di attingere la rabelaisiana moelle substantique, ovvero il midollo sostanziale che l’antica Sapienza ha tramandato.
Piero Fenili
[1] CITATE GENERALMENTE CON IL SEMPLICE RICHIAMO AI TRE VOLUMI DELL’OPERA OMNIA CHE LE RACCOGLIE.
[2] Laterza, Bari 1932, p. XIV.
[3] In italiano nel testo.
[4] La chevalerie amoureuse – Troubadours, Félibres et Rose-Croiz, Un manuscrit inédit de Pierre Dujols-Texte présentè et commentè par J.-F. Gilbert, Paris, La Table d’Emeraude, 1991, p. 12.
[5] Ivi, p. 92.
(Tratto dal volume "La chiave della sapienza ermetica" con il permesso delle Edizioni Rebis)